La Festa della donna sta a alla donna, come il pingue Babbo Natale sta a San Nicola. Un trionfo di nulla ben commercializzato. Innanzitutto, non è una «festa». A volo radente sulla realtà peninsulare, è evidente che non ci può essere di che festeggiare in un Paese necessitato a creare il reato di FEMMINIcidio, nonché barocche enclave del potere centellinato, come vizze quota rosa nei Cda e svogliate norme per parificare i generi, negli ingranaggi impari della politica patriarcale.
Pure il suo simbolo – smarrito il significato alto, di fiore proletario, indicato dalla ex partigiana Teresa Mattei - è ridotto a un patetico bluff. Fiori a forma di palline. Che bizzarra ironia. E, per di più, d’una pianta che non esiste nella tradizione latina, greca, romana, europea. La mimosa viene dall'Australia. E dire che non mancavano alternative di piante legate ai grandi miti muliebri: il loto, la ninfa, l'iris. Se proprio palline gialle dovevano essere, c’erano i fiori dell'artemisia, pianta dedicata ad Artemide, dea protettrice delle erbe medicinali ed essa stessa ritenuta benefica per l'organismo femminile. L’iconografia floreale d’importazione toccata in sorte alle italiane – in nessun altro Paese si regalano mimose - è percepita come effimera (in 24 ore s’imbruna, appassisce, puzza e sporca casa) e, poiché viene donata recisa, svia ogni palpito di richiamo alla dimensione profonda, radicale, dell'essere donna.
Gustosa come un leccalecca di pura plastica, la Festa della donna oggi propinata in Italia è un'odiosa ospite non invitata al pranzo di famiglia della Festa del papà, della mamma e dei nonni, ed è maleducata assente al galà delle Giornate internazionali. Sì perché di questo parliamo quando diciamo “Festa”, di un rozzo mascheramento della Giornata Internazionale della Donna, di una cenerentolizzazione della sua genetica sociale, politica, socialista, comunista, operaia, lavoratrice, interclassista, sovra-nazionale e nazionale (è statunitense e anche russa, è francese e italiana), forse non madre, forse non sorella, ma sì radicata sempre, figlia sempre e pacifista, fortemente!
Così come nessun Babbo Natale ha mai convinto qualcuno a entrare in una chiesa, anzi, questa mistificazione continua sui reali contenuti della Giornata Internazionale della Donna, questa tensione nel rendere sempre più leggeri, fruibili e “pop”, contenuti duri, storici, sociali, politici ed economici, ha finito con lo spolpare il senso autentico lasciando solo una lisca, sottile. L’operazione culturale di banalizzazione distruttiva è stata fatta sulla pelle dell’8 marzo e, in definitiva, sulla pelle di tutte noi. Disancorata dalla sua dimensione storica e dal suo respiro inter-statuale, oggi qualunque donna poco avveduta potrebbe essere indotta a buttar via questa grande, attuale, eredità matrilineare. Non le si può dare torto e non si può che volerle bene, con compassione. Le statistiche ci dicono che, molto probabilmente, quell’italiana non ha studiato materie scientifiche. Se ha trovato un lavoro, è più qualificata dei suoi colleghi ma guadagnerà meno e farà meno carriera. Al Sud, dove i servizi sociali sono scarsi e pure scadenti, dovrà quindi scegliere se lavorare senza avere le giuste soddisfazioni e far crescere i propri figli a un’estranea a ciò pagata, oppure restare a casa ad allevare il solo figlio che lei e il suo compagno potranno permettersi, come un lusso. Su di lei peserà la cura degli anziani e dei disabili. Subirà molestie sessuali. E alla pensione, non potrà permettersi la retta di un ospizio decente. Ecco, è a questa “cittadina media” che, ogni 8 marzo, viene regalato un rametto di mimosa e «Tanti auguri per la Festa della donna!» La si può biasimare se vorrebbe incenerirle quelle palline gialle? No, certo che no.
Bisognerebbe spiegarle che, in un Paese in cui è femmina il 51% dei votanti, il suo quotidiano è un destino solo nella misura in cui lei e tutte le altre accettano che le cose vadano così. Bisognerebbe spiegarle che quella Giornata Internazionale della Donna che è pronta a buttar via, non è dono da poco, ma pagato caro, carissimo. Che quella è una cornice, in cui ogni generazione ha il diritto e il dovere di aggiungere istanze e lotte per l’equità. Bisognerebbe spiegarle che lei può fare la differenza per sé e per chi è ancora in età di credere a Babbo Natale. Bisognerebbe dirle di non farsi infinocchiare dai venditori di fuffa e di non abbandonarsi all’apatia. Dirle che è ora di finirla. È ora di iniziare. È ora di ricominciare. Buona Giornata Internazionale della Donna!