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8 marzo, Puglia più forte grazie alla parità salariale, però una legge non basta

 
Filomena Principale

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Filomena Principale

La mimosa, fiore simbolo della festa della donna, tra le mani di donne di diverse etnie e fedi religiose

Lunedì 07 Marzo 2022, 14:31

L’8 marzo rappresenta un appuntamento che spesso la retorica della celebrazione rischia di relegare ad un evento obbligato da calendarizzare ma che non coglie e non segna una continuità di azione sul lungo elenco di problematiche che il divario di genere raccoglie in sé e che la guerra con le sue ricadute sulla popolazione civile esacerberà ancora di più.

La storia della ricorrenza di una data che ormai assume un valore ancestrale con il rischio di non essere riconosciuta dalle giovani generazioni e interrompere quindi quel cammino di conquiste che le donne hanno compiuto fino ad oggi, necessita invece di una voce che va nuovamente urlata e denunciata, per gli effetti che le disuguaglianze stanno producendo e che mettono in discussione diritti che pensavamo ormai acquisiti.

Il persistere delle discriminazioni nell’accesso al mercato del lavoro, ma anche nella permanenza e nella fuoriuscita, il gender pay gap (la differenza di retribuzione tra uomo e donna per un uguale lavoro), le difficoltà di carriera legate non solo alla maternità, ma anche e soprattutto al pesante carico del lavoro di cura, le condizioni della salute soprattutto in età anziana, il dramma della violenza e delle molestie, gli stereotipi culturali di cui è intriso lo spazio civico e sociale nel quale ci muoviamo, sono tutti aspetti di un problema di disuguaglianza che la pandemia ha aggravato, perché il sistema delle relazioni sociali è stato pesantemente messo in discussione e oggi la ripresa accelerata per inseguire il PIL e la sua crescita, rischiano di posizionare indietro le lancette delle conquiste.

L’evoluzione normativa di leggi e interventi tesi a colmare questo divario segue un andamento tale da riconoscere certamente passi in avanti nel lungo viaggio verso la parità. E mi riferisco alla legge 903/1977 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), con la parentesi della legge 125/1991 (Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro) e poi alla legge 162/2001 (Modifiche al codice di cui al dlgs 198/2006 e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo).

Interventi tesi a sottolineare ed accerchiare sempre più, il merito degli interventi e delle correzioni proposte, che hanno contribuito solo a piccoli passi in avanti. È come se bisognasse specificare sempre di più che quei nodi connessi, sia al contrasto del gender pay gap, sia alla rilevanza del lavoro di cura nella divisione dei compiti familiari, che ancora è a carico delle donne, continuano a rappresentare un ostacolo alla parità e quindi anche, una disuguaglianza sostanziale rispetto ai principi di garanzia costituzionale.

Questa necessità di affermare i limiti delle azioni paritarie messe in campo, si scontra con le buone prassi che pure in molte aziende e grandi gruppi sono state nel tempo avviate, per aggredire il divario. Prassi e azioni che la contrattazione aziendale e quindi il ruolo negoziale del sindacato, ha avviato affinché dai luoghi di lavoro il quadro normativo intervenisse a sostenere le donne per liberarle dal carico del lavoro di cura che resta comunque poco condiviso.

Ecco. Uno dei limiti delle misure messe in campo è che sono state rivolte ad esclusivo sostegno femminile perché la conciliazione è rimasto tema delle donne che hanno continuato a dividersi tra casa e famiglia.

Oggi che la pandemia ha evidenziato in maniera ancora più stridente le gravi disuguaglianze di genere e che le misure in campo – come quelle del PNRR – riconoscono la necessità di interventi trasversali alle sei missioni soprattutto nel campo delle nuove tecnologie digitali, è quanto mai necessario superare la subalternità di genere attraverso la condivisione delle responsabilità di riproduzione sociale: il lavoro di cura deve uscire fuori dalle logiche di appartenenza di genere, così come la scelta dei percorsi di studio, di lavoro e impresa devono essere incentivati verso quei campi oggi appannaggio ancora in maniera percentualmente più alta degli uomini.

La Puglia dall’8 marzo dell’anno scorso, si è dotata di nuovi strumenti di azione per combattere il divario di genere: la legge sulla parità salariale, l’impatto della valutazione di genere e le linee strategiche dell’Agenda di Genere, hanno necessità di essere perseguite, applicate, monitorate e corrette se necessario. Noi in CGIL Puglia stiamo avviando un percorso di confronto interno su linguaggio e comunicazione che il Coordinamento donne avvierà dal 16 marzo con la professoressa Lea Durante. Urge un’accelerata al cambiamento culturale che incoraggi l’equa suddivisione dei ruoli e colmi le disuguaglianze. Le strategie ci aiuteranno ma allo stesso tempo dobbiamo liberarci di quei comportamenti rigidi che stanno dietro gli stereotipi di genere.

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