«La carta stampata ha un presente e un futuro». Ne è convinto Gianrico Carofiglio, autore ormai notissimo, che da oggi sarà presente ogni giorno sulla prima pagina della rinata «Gazzetta» con un suo tweet. «Scriverò una sorta di telegramma quotidiano e la parola “telegramma” non è casuale, visto che lega qualcosa dal sapore antico con la comunicazione social. L’idea mi è piaciuta anche perché voglio fare un augurio a questa avventura di un giornale che ha una lunga tradizione e tanti elementi di novità».
Carofiglio ha appena completato l’editing del suo nuovo romanzo, che uscirà il 29 marzo: avrà come titolo Rancore e – top secret sulla trama – racconterà una nuova indagine di Penelope, il personaggio femminile che tanto successo ha avuto ne La disciplina di Penelope, uscito un anno fa. «Posso solo dire che sarà un romanzo molto più ampio e più complesso del precedente», accenna lo scrittore barese sorridendo.
Ma torniamo al giornale. Far tornare in edicola La Gazzetta del Mezzogiorno è secondo lei una scommessa o una necessità?
Mi piace il concetto di scommessa e sono convinto del fatto che il mondo della carta abbia un presente e un futuro. Guardiamo a cosa è accaduto con i libri, dove il romanzo elettronico si è guadagnato un suo spazio che non ostacola il libro cartaceo, nonostante i timori paventati all’inizio. Certo, su internet, la gratuità dell’informazione rischia una concorrenza ma se ci pensiamo bene non è così. Io faccio la similitudine tra i giornali e le librerie indipendenti: queste ultime offrono qualcosa di più, sanno creare una comunità e un’occasione per entrare in rapporto diretto. È lo stesso per i giornali, che possono raccontare anche i territori minuti, possono commentare, orientare.
E arginare la disinformazione dilagante...
Sì, penso proprio al giornale con una funzione di bussola, uno strumento di orientamento, non certo per dire alla gente cosa pensare - ci mancherebbe – ma per suggerire spunti per un pensiero critico. Ci sono siti come Il Post che hanno trovato la loro strada ma non sono in contrapposizione con l’informazione su ciò che accade attimo per attimo, cosa in cui ovviamente nella tempistica vince la Rete. Il giornale è spunto di approfondimento e riflessione, un oggetto fisico tanto antico quanto nuovo. Nel mio libro Della gentilezza e del coraggio, parlo proprio di quanto spazio ci sia ancora per la carta e per le parole, nonché di come il mondo in cui si ha accesso a tanta informazione spesso possa disorientare.
Le è capitato di utilizzare una notizia della «Gazzetta», un ritaglio o un articolo come spunto delle trame dei suoi romanzi?
Sì. Ad esempio quando ho scritto Il passato è una terra straniera ho usato diverse notizie pubblicate che ovviamente non si vedono nel libro. Come spiega il «principio dell’iceberg» di Hemingway, ci sono parti sommerse in un libro: è materiale che lo scrittore conosce ma che non deve affiorare, sono tracce che rendono solido l’iceberg del racconto. Quindi dalle notizie meteo agli eventi criminali, fino ad esempio al protagonista del mio romanzo che a un certo punto legge proprio la «Gazzetta». Ovviamente tutto è misto alla finzione e non ha a che fare con la realtà.
Quali parole più ricorrenti le piacerebbe leggere sul nostro giornale?
Spero di leggere parole non troppo ricorrenti, perché le parole usate troppo si consumano. Ho un’idea di giornale che maneggi il linguaggio, che lo renda sempre più ricco. Se poi parliamo di parole nel senso di temi, la scommessa in generale è quella di essere capaci di raccontare anche le piccole vicende e di percepire le aperture verso i grandi temi.
Giornalista e scrittore, sono termini simili?
Molti si definiscono in questo modo e credono di esserlo, ma in realtà si tratta di due cose diverse. Lilli Gruber lo spiega bene nel suo ultimo libro su Martha Gellhorn, che è stata anche moglie di Hemingway. Lui raccontava le guerre in forma di finzione, da scrittore, mentre lei no, essendo giornalista, si rifaceva alla realtà. Ognuno deve rispettare l’etica del suo lavoro, che non significa soltanto non dire bugie. Per i giornali, il racconto della verità dovrebbe rifarsi il più possibile al vecchio slogan di Panorama di un tempo e cioè «I fatti separati dalle opinioni». E in questo ovviamente la qualità è importante.
Cosa legge Carofiglio appena si sveglia? Quali giornali?
Leggo le rassegne stampa e quindi quasi tutti i giornali. Leggo Repubblica, Corriere; trovo il Domani ben fatto; qualche volta leggo Il Fatto Quotidiano e poi i giornali che hanno una prospettiva ideologica diversa dalla mia. Serve sempre. Io credo che i giornali abbiano il ruolo di cane da guardia della democrazia, vieppiù oggi. Questa funzione è indispensabile. Io vedo però molta enfasi sui giornali quando si parla dell’avvio di inchieste e procedimenti, mentre c’è carenza di informazione su come finiscono i processi... a volte solo trafiletti, capisco che la notizia di un’assoluzione non possa andare in prima pagina ma è importante dare riscontro di come sia andata a finire.
Racconteremo il Sud... questa entità di cui parliamo sulla «Gazzetta» da 134 anni. Vede un Sud avviato verso la ripresa, Pnrr compreso?
Difficile esprimere opinioni in poche parole su temi così complessi, ma dovremo fare i conti con il meccanismo dei soldi dell’Europa che vanno spesi e spesi presto e bene. Per fortuna, dopo i grandi choc, come lo sono le guerre e le epidemie, gli individui ricevono una frustata: con questo non voglio dire che saremo migliori, cosa ormai fin troppo detta, ma credo davvero che i sistemi complessi dopo lo choc tendano a rigenerarsi, per cui abbiamo almeno ottime prospettive. Però è difficile parlare di Mezzogiorno e basta, perché il Sud non è tutto uguale e ci sono situazioni che variano da regione a regione. Faccio un esempio: leggo che ci sono soltanto sei posti di terapia intensiva in Calabria... Ma è possibile?.
Sarebbe materiale per uno, mille centomila «Telegrammi» che farà per la «Gazzetta» da oggi. Ma lei quanto è «social»?
Seguo e scrivo, ma quando posso. Da parecchi giorni non «twitto», ricomincio oggi sul vostro giornale!