LECCE - Avanguardista dal pensiero agile e libero, Carlo Capasa è un gentiluomo d’altri tempi con un’ insospettabile anima rock. A conti fatti, quest’ultimo aspetto sembrerebbe aver rappresentato nella sua carriera - ma anche nella sua vita privata - quel colpo di coda che riassesta il caotico tutto su quel misterioso - nonché raro - equilibrio tra sentimento e visione cartesiana delle cose. Fortuna o maestria se, da Lecce, Capasa è giunto a Milano giovanissimo con l’idea di studiare Filosofia, per poi ritrovarsi a vendere cravatte, camicie, creare società, fino a diventare prima l’amministratore delegato della Maison Costume National, fondata con il fratello Ennio, e dopo il Presidente della Camera Nazionale della Moda italiana. Di mezzo c’è anche il felice matrimonio con l’attrice Stefania Rocca e due figli, Zeno e Leone. La sua storia è da raccontare.
Leccese, classe’58, Capasa nasce in un contesto privilegiato in cui l’haute couture è al centro di tutta la famiglia. Siamo negli anni’ 70, i suoi genitori possiedono due boutique in Via XXV Luglio e in città sono «quelli che dettano le nuove tendenze». Lui è un bambino e guarda con ammirazione le signore che ci tengono tanto ad abbigliarsi bene e che comprano capi di alta qualità firmati Saint Laureant, Callaghan, Walter Albini.
Carlo assiste alla nascita del prêt-à-porter italiano che si sviluppa proprio in quegli anni, con l’affacciarsi di stilisti come Missoni, Armani, Krizia, Versace e cresce in un ambiente in cui l’eleganza è uno stile di vita. Ma cosa significa essere eleganti? È un concetto democratico o elitario? Per Capasa, «l’eleganza è la capacità di riconoscere un abito artigianale, di mettere insieme i tessuti, i colori e di saper scegliere un capo in base alle occasioni». Pensa, inoltre, che lo stile sia alla portata di tutti: «Un capo vintage è un’alternativa interessante, per esempio». Ma non parlategli di fast fashion «che presenta grandi difetti in termini di sostenibilità». Se la moda è per ricchi? «È un’industria creativa e come l’arte può costare molto».
E pensare che durante l’adolescenza, Carlo che frequenta il Liceo Classico e pratica l’atletica a livello nazionale, nutre un sentimento ambivalente nei confronti della moda, ritenendola futile, borghese, snob ma al tempo stesso magnetica. «Ho scoperto dopo che, invece, è qualcosa di molto serio - spiega - essendo la seconda industria italiana con cento miliardi di fatturato, seicentomila persone che lavorano nella parte industriale e altrettante seicentomila che lavorano nel terziario».
Dopo il Liceo, va a Milano per studiare ma non gli basta: vuole mettersi alla prova, è ciò che gli ha insegnato l’atletica. Inizia a lavorare in uno show room che produce e distribuisce grandi marchi. I genitori lo assecondano, «hanno capito fin da subito che questa qui è una roba che mi piace molto». A vent’anni, vola a Londra per imparare l’inglese e lì vende cravatte. Il fratello (lo stilista Ennio Capasa, n.d.r.) lo raggiunge, dopo aver terminato gli studi all’ Accademia di Brera, e insieme iniziano a produrre camicie con il marchio Conti. «Poi lui va in Giappone e diventa assistente di Yohji Yamamoto. Vendiamo la camiceria». Nell’84, Capasa scopre Romeo Gigli. Colpito dal suo estro, crea una società per distribuire il suo marchio in tutto il mondo; intanto, Ennio rientra a Milano e nasce Costume National. «Mio fratello veste donne bellissime, tra queste Stefania Rocca che all’inizio è una semplice conoscenza. Una sera andiamo a un concerto di Laurie Anderson e Lou Reed: le cose più belle accadono quando non te le aspetti. Da lì, i figli e un matrimonio improvvisato a New York».
Questo nel 2005, ma facciamo un passo indietro e torniamo alla sua scalata. Nel’ 92, con Zamasport, crea una S.r.l. per distribuire Gucci, il nuovo designer Tom Ford ha talento. Dopo otto anni vende la società alla stessa griffe. Nel 2010 diventa board member della Camera Nazionale della Moda italiana che oggi presiede dal 2015. «Abbiamo lavorato molto non solo sulla Fashion Week, ma pure sull’inclusione della diversità, sulla sostenibilità ambientale e sociale, sulla formazione, sulla promozione dei nuovi brand, sulle mostre, sulle relazioni con le istituzioni». Un’agenda fitta di impegni ma il Salento resta sulla pelle. «Ci torno spesso, ho creato una società sportiva perché lo sport forma il carattere ed è necessario per realizzare i nostri sogni. Ci sono tanti salentini che hanno idee attraenti. Penso a Francesca Monaco che realizza le borse eco-friendly THEMOIRè o a Gianni de Benedittis e ai suoi gioielli Futuro Remoto. La realtà de “Le Costantine” conquista, è bello che abbia avuto tanta visibilità grazie alla tricasina Maria Grazia Chiuri (direttore creativo di Dior, n.d.r), e cito anche l’industria di abbigliamento Barbetta per la sua produzione al passo con i tempi».
La formula per essere felici, se c’è? «Si sceglie con lo stomaco, si concretizza con la testa. È opinione comune che bisogna per forza essere ricchi e famosi, per dirsi realizzati. Non è così. Bisogna, invece, investire sulle proprie passioni, fare sistema, scambiare competenze, creare distretti come quello calzaturiero di Casarano - divenuto ormai molto importante - promuovere progetti di digitalizzazione, puntare sui servizi. Abbiamo tante ricchezze, dobbiamo solo imparare a valorizzarle e a raccontarle».