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«Parlare di suicidio resta ancora un tabù»: a Terlizzi il libro di Matteo B. Bianchi

«Parlare di suicidio resta ancora un tabù»: a Terlizzi il libro di Matteo B. Bianchi

 
Maria Grazia Rongo

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Maria Grazia Rongo

«Parlare di suicidio resta ancora un tabù»: a Terlizzi il libro di Matteo B. Bianchi

«Ho scritto un libro che non è né il mio diario né un libro in cui vomito tutto il mio dolore né uno sfogo. Volevo raccontare la mia esperienza perché fosse di aiuto e di supporto ad altri ma che facesse capire anche a chi non l'ha mai vissuta che cosa vuol dire»

Lunedì 08 Gennaio 2024, 11:55

TERLIZZI - La psichiatria li definisce survivors, sopravvissuti. Sono padri, madri, fratelli, sorelle, amori, di chi si suicida. Chi resta a domandarsi perché e a vivere e convivere con un dolore che non passa. Matteo B. Bianchi, scrittore, autore di programmi radio e televisivi, conduce il podcast letterario «Copertine» ed è il direttore editoriale della casa editrice «Accento» fondata con l'amico Alessandro Cattelan; racconta la sua esperienza di sopravvissuto al suicidio del suo compagno, avvenuta vent'anni fa, nel romanzo La vita di chi resta edito da Mondadori (pp. 252, euro 18,50). L'autore ieri è stato ad Altamura per il Liberfestival e questa sera sarà a Terlizzi nella libreria Un panda sulla luna, in dialogo con la giornalista Claudia Bruno (ore 19).

Bianchi, per scrivere questo suo romanzo ha impiegato vent'anni. Perché?

«Ci sono tanti motivi per cui ho aspettato così tanto tempo. Uni dei questi banalmente è che pensavo che prima o poi un libro che parlasse di una storia del genere sarebbe uscito, perché è un argomento che purtroppo riguarda tante persone ma del quale si parla straordinariamente poco. E poi invece questo libro non usciva mai. L'altro motivo è che da tanto tempo pensavo di volere scrivere questa storia ma la mia domanda era: “come si scrive una storia così”»?

Dal punto di vista letterario?

«Sì, nel senso che ho scritto un libro che non è né il mio diario né un libro in cui vomito tutto il mio dolore né uno sfogo. Volevo raccontare la mia esperienza perché fosse di aiuto e di supporto ad altri ma che facesse capire anche a chi non ha mai vissuto una cosa del genere che cosa vuol dire vivere una cosa di questo tipo. Dovevo quindi trovare la forma adatta. E infine anche il fatto che prima ho dovuto affrontarla io per avere poi anche la distanza emotiva giusta per poterne parlare in modo lucido.»

Il suicidio è ancora un tema tabù?

«Il suicidio è assolutamente un argomento tabù, però in ambito artistico un po' meno. Nei libri, nei film, nelle serie TV ogni tanto la figura del suicida appare, nella letteratura romantica era molto presente, ma non è quasi mai al centro della narrazione, è un elemento che succede. Per la società invece non se ne parla veramente mai. Il suicidio è la terza causa di morte tra le persone adulte del mondo, più delle guerre, ma i media hanno paura di parlarne. Di chi rimane poi, dei survivors, non si parla davvero mai.»

Un altro elemento fondamentale di questo libro è il fatto che chi resta è un uomo e a uccidersi è stato un altro uomo...

«Questo è un altro motivo per cui ho aspettato tanto tempo a scrivere, perché volevo raccontare una storia universale, ma pensavo che partendo da una esperienza omosessuale sarebbe stata percepita come una cosa legata a una nicchia. E invece tutti quelli che ho incontrato o mi hanno scritto non hanno mai notato la differenza perché l'esperienza del dolore che si prova è la stessa, per tutti.

La letteratura, la scrittura sono salvifiche?

«Ho scritto un libro per aiutare chi legge. Il mio percorso di salvezza l'ho già fatto per conto mio. I lettori mi stanno dimostrando che questo libro è stato salvifico per moltissimi. Chi ha vissuto un dolore forte si ritrova in queste pagine. Credo assolutamente nel potere salvifico della parola.»

Lei ha fondato una casa editrice con Alessandro Cattelan, che si occupa solo di autori esordienti. Perché?

«Io e Alessandro ci conosciamo da tantissimi anni perché sono stato uno degli autori delle sue trasmissioni. Una cosa che ci ha sempre unito è la passione per i libri. Un giorno lui mi ha chiamato e mi ha detto che voleva creare una casa editrice e questo era anche il mio sogno. Così è nata “Accento” per aiutare gli scrittori esordienti. Esistiamo da un anno e siamo molto contenti.»

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