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Le prime giudici d’Italia e la battaglia di genere per le donne in Magistratura

Le prime giudici d’Italia e la battaglia di genere per le donne in Magistratura

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Le prime giudici d’Italia e la battaglia di genere per le donne in Magistratura

Bari, il libro della giornalista lucana Di Caro sarà presentatoalla Biblioteca Ricchetti dall’associazione Donne in corriera

Lunedì 03 Aprile 2023, 10:00

Sarà presentato oggi a Bari (ore 18, Biblioteca Ricchetti, via Sparano) il libro di Eliana Di Caro «Magistrate finalmente. Le prime giudici d’Italia», della giornalista materana Eliana Di Caro. Con l’autrice dialogherà il procuratore di Taranto Eugenia Pontassuglia. La presentazione rientra nell’ambito della rassegna culturale organizzata dall’associazione Donne in corriera.

La battaglia di genere per le donne in magistratura. È di questo che parla «Magistrate Finalmente. Le prime giudici d’Italia» (edito da «il Mulino», pp.152), scritto dalla giornalista materana Eliana Di Caro. E lo fa ripercorrendo la storia repubblicana a partire dal biennio costituente, incrociando al cammino femminista il percorso che ha condotto alle più grandi conquiste dell’ultimo secolo sul terreno dei diritti, dallo Statuto lavoratori al divorzio, alla chiusura manicomi, alla riforma del diritto di famiglia e ancora aborto, adozioni, Sistema sanitario nazionale.

Il viaggio di Eliana Di Caro ha un prima e un dopo: la legge 66 del 9 febbraio 1963 che aprì le porte della magistratura alle donne: «figure d’eccellenza, sconosciute ai più, che si misero in gioco sfidando il pregiudizio maschilista fortemente radicato in ambito giudiziario» scrive l’autrice.

Nel seguirne il percorso biografico e professionale, ricostruito attraverso documenti e testimonianze che consentono di tracciarne accurati ritratti, ci si addentra in un’Italia caratterizzata da profondi mutamenti sociali e culturali.

Graziana Calcagno, Emiliana Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Gabriella Luccioli sono le «temerarie» vincitrici del primo concorso che «sanava una ferita», tra «profonde resistenze culturali» e «umilianti pregiudizi». Otto «pioniere» le definisce Di Caro nel libro. Ci sono stralci di discorsi, testi di leggi e interventi anche parlamentari che oggi, a rileggerli, fanno quasi sorridere. È il caso di alcune dichiarazioni fatte in quegli anni dall’allora rettore dell’Università di Lecce Giuseppe Codacci Pisanelli, il quale arrivò di dichiarare che era una questione di «resistenza fisica», per le ore ed ore che potevano impegnare un magistrato in aula e questo lo rendeva, secondo lui, un lavoro più adatto ad un uomo. Secondo qualcun altro un corpo giudiziario «misto» avrebbe generato «confusione». E c’è anche chi scomodò l’apostolo San Paolo e il suo «tacciano le donne nella chiesa», che «se fosse vivo direbbe: “facciano silenzio anche nei tribunali”». O il pamphlet del presidente onorario della cassazione, datato 1958, Eutimio Ranelletti, che definiva la donna «inadatta a giudicare» perché «fatua, leggera, superficiale, impulsiva, emotiva, testardetta, approssimativa».

Un piccolo passo dalla forte valenza simbolica era arrivato il 17 novembre 1955, quando l’allora ministro della Giustizia Aldo Moro presentò alla Camera un disegno di legge che includeva le donne nelle giurie popolari della Corte di Assise e nei Tribunali per i Minorenni: la legge fu promulgata un anno dopo. Ma la vera svolta verso la parità arrivò con la sentenza del Consiglio di Stato del 1960 che accoglieva il ricorso di una aspirante prefetta campana: la norma che escludeva le donne venne dichiarata incostituzionale.

E arriviamo alla legge del ’63. Al primo concorso che ne seguì parteciparono 2.729 candidati, di cui 200 donne e dei 186 idonei, 8 erano donne. Per anni, però, le magistrate continuarono ad essere dipinte anche dai giornali con stereotipi di genere, dalla «giudice in toga e tailleur» alla «giudice in gonnella».

Nel 1987, a meno di un quarto di secolo dalla legge 66, ci fu il sorpasso, con più donne vincitrici del concorso, 156 su 300. Ma ancora oggi i numeri femminili precipitano se si considerano i ruoli apicali, l’ultimo «tetto di cristallo da infrangere».

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