BARI - È la monumentalità imperiale dell’età di Napoleone (col suo monogramma N impresso sul velario) a marcare, insieme alle vestigia dell’antico Egitto dei Faraoni, questa sontuosa Aida che con la musica immortale di Giuseppe Verdi ha debuttato ieri al Teatro Petruzzelli. In questo allestimento realizzato dalla Fondazione lirica barese, il direttore dell’orchestra era Renato Palumbo, regista Mariano Bauduin il quale, nella sua non peregrina chiave di lettura ha inquadrato il tutto nell’egittomania di un Ottocento che parte dalla vittoria napoleonica nella Battaglia alle Piramidi del 1798, per chiudersi appunto con l'Aida verdiana del 1871 nel Teatro dell’Opera del Cairo (la prima alla Scala fu nel febbraio 1872).
L’opera fu commissionata al maestro per celebrare l’apertura del canale di Suez, per la serie delle «magnifiche sorti e progressive», quanto a Leopardi, di un’Europa molto arrembante e molto coloniale. Gli è che Verdi, per fortuna, pure nelle esigenze della committenza e di un grand opéra con sfoggio di masse, cori, balletti, esotismi vari e sfarzosità in campo, adotta magistralmente come un «doppio canto» anche melodico: accanto a esplosioni di «scenografia musicale» popolarissime (cori, trionfi, marce e squarci di massa) si ingemmano le solitudini dei personaggi centrali, Aida, Radames, Amneris, con loro sublimi vertici e finezze psicologiche, nelle dinamiche a Verdi così care tra dovere e amore, fra destino degli individui e strapotere dei regimi. L’antico Egitto con suoi segni millenari, l’impero di Napoleone con le sue vittorie (qui sullo sfondo si alternano i due quadri sulla Battaglia alle Piramidi, di L. Francois Lejeune e di Watteau de Lille, con Napoleone piccolo a destra sul cavallo bianco) tutto ciò non è che decorazione superba, a fronte dello strazio delle persone, con i loro amori e dolori, con il loro destino, segnato dagli astri. Astri che anche la regia fa comparire a brillare ogni tanto, sullo sfondo.
Si concentra la entusiasmante verve direttoriale di Palumbo nelle monumentali sequenze di masse e cori, né mancano le «trombe egizie» tanto care a Verdi che sbucano dai palchi di proscenio nel fatidico «trionfo». Così i balletti sono reiterati (anche raffigurazioni di Iside e Osiride), fra colonne neoclassiche che incorniciano quadrerie trionfalistiche accanto a reperti, scalinate e vestigia dell’antico Egitto, insieme a mobilia e vesti in stile Impero sulle sponde di un Nilo vasca/piscina (scene di Pier Paolo Bisleri, costumi di Marianna Carbone, coreografie di Miki Matsuse).
Qualche affastellamento in citazioni e segnali, vedi le statue di bianco marmo alla Canova (anche la Venere distesa e denudata di Paolina Borghese), con una sequenza ieratica dell’imbalsamazione di un coccodrillo, con sarcofaghi e mummie, con proiettata la pioggia/invasione di rane e cavallette, come da «piaga d’Egitto» di biblica memoria. La regia ha inserito anche (fine I atto consacrazione di Radames e della spada sacra) un sacrificio umano propiziatorio alla vittoria! Ma scandisce sempre il complesso apparato scenico-visivo la musica di Verdi, qui in mirabile equilibrio fra tradizione «all’italiana» e innovazioni che, Wagner a parte, anticipano suggestioni alla Debussy, poi addirittura alla Schonberg. Così è. Messi nel conto celeberrimi passaggi come il Se quel guerrier io fossi e la Celeste Aida di Radames, o il Ritorna vincitor di Aida, o il coro del trionfo col Salvator della patria, fino ai Cieli azzurri, dolci arie native, fino al Morir sì pura e bella e alla Fatal pietra che seppellisce i due amanti sfortunati, ebbene in questa versione spiccano come gemme i meravigliosi sussurri dei Cori (diretti da Fabrizio Cassi) come quello delle Sacerdotesse all’Immenso Ftha, quello in riva al Nilo, come il finale con Radames e Aida morenti, con Amneris disperata, il Coro a sigillare il destino e la morte.
Del tutto adeguate le voci e le interpretazioni dei validissimi cantanti in scena: Leah Crocetto è un’Aida di potente vigore passionale, a fronte del Radames di Roberto Aronica articolato tra furori e struggimenti, con l’ Amneris duttile nei suoi conflitti di Carmen Topciu. Abramo Rosales (Ramfis) e Vladimir Stoniakov (Amonastro) bene nei loro cupi ruoli suoni. A completare il cast Romano Dal Zovo (il Faraone), Saverio Fiore (messaggero, qui fatto fuori), Nikolina Janevska (sacerdotessa). Doveroso citare il secondo cast: Burcin Savigne (Aida), Dario di Vietri (Radames, è barese), Rossana Rinaldi, Ramaz Chikviladze (Ramfis), Elia Fabbian (Amonasro). Gloria di applausi finali e meritatamente trionfale accoglienza, per l' imperiale Aida.