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Emanuele Caputo
04 Dicembre 2020
«Mai avrei pensato di vivere una simile disavventura: nonostante la mia giovane età e il buono stato di salute, il Covid-19 mi ha letteralmente devastato. Devo ancora fare i conti con la grande debolezza, la polmonite e la tachicardia che non mi consentono ancora di uscire serenamente di casa». Qualche colpo di tosse scandisce ancora le parole pronunciate da Antonello Manzari, 27enne docente di lettere, appena rientrato a casa dei suoi genitori, a Castellana, dopo quasi un mese di ospedalizzazione e ben ventidue giorni in terapia intensiva nel padiglione «Antonio Brienza» della Rianimazione del Policlinico di Bari.
Il suo racconto è una perfetta sintesi fra la cronaca degli accadimenti di questa seconda ondata della pandemia e la gratitudine per il personale sanitario. «Dopo la prima esperienza ad Alessandria dello scorso anno scolastico - ricorda Manzari - ho ricevuto un incarico annuale per insegnare a Rovereto, in Trentino. A metà ottobre, in seguito alle prime positività accertate nell’Istituto, sono stato sottoposto ai tamponi rapidi previsti dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss) di Trento risultando sempre negativo, l’ultimo il 29 ottobre. Per le festività di Ognissanti ho così deciso di rientrare a Castellana ma proprio domenica primo novembre - racconta - la febbre ha raggiunto i 39 gradi e il gusto è apparso fortemente alterato».
Quindi? «Per cautela mi sono chiuso in camera mia e il giorno dopo in un laboratorio privato sono stato sottoposto a tampone molecolare, risultato positivo. Ho prontamente allertato il medico di famiglia che ha, a sua volta, attivato l’Unità speciale di continuità assistenziale (Usca) i cui operatori sono venuti a casa per eseguire un nuovo tampone di cui non ho ricevuto il risultato. Febbre, tosse secca, dolori e astenia mi hanno accompagnato fino a domenica 8 quando, grazie a un saturimetro, ho potuto constatare che la sensazione di pesantezza nella metà di sinistra del torace corrispondeva a un’improvvisa riduzione della saturazione, passata in poche ore da 95-96% al ben più allarmante 87%. Con il 118 sono stato così trasferito a un reparto di Medicina del Policlinico di Bari dove, nonostante la somministrazione di ossigeno, la saturazione non superava il 90%. In quattro ore mi sono ritrovato in terapia intensiva».
Qui il protocollo: in testa il casco della c-pap per contrastare l’immensa fame d’aria, pannetti, clisteri e cateteri. «Mi sono sentito dentro un incubo accanto a gente intubata, prona, in fin di vita e che in qualche caso non ce l’ha fatta».
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