Giovedì 09 Ottobre 2025 | 06:00

Quei sessantenni armati fino ai denti: l'assassino del carabiniere Legrottaglie già condannato a 9 anni

 
ALESSANDRA CANNETIELLO

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ALESSANDRA CANNETIELLO

Quei sessantenni armati fino ai denti: l'assassino del carabiniere Legrottaglie già condannato a 9 anni

Michele Mastropietro, il 59enne di Carosino morto dopo lo scontro a fuoco con le forze dell’ordine, era specialista dei «blindati»: l’ultimo arresto nel 2013

Venerdì 13 Giugno 2025, 06:15

11:10

«Ma non ci dobbiamo fermare eh… una dietro l’altra». Michele Mastropietro il rapinatore 59enne di Carosino morto dopo uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, pianificava rapine in serie. Quella sua frase, intercettata dai poliziotti nel 2013, racconta bene il personaggio: dopo la condanna a 9 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla tentata rapina, al porto illegale di armi, alla violenza privata e all’incendio, oltre a tutta una serie di reati minori, non aveva ancora smesso con quella vita. Possedeva un’autodemolizione e con quella non riusciva a provvedere alla famiglia: gli ultimi contributi previdenziali, prima di quei colpi per cui venne arrestato, risalivano al 1997, quasi 15 anni prima.

Mastropietro era finito in manette, assieme ad altre persone, alcuni mesi dopo l’assalto fallito a un portavalori: un gruppo dotato di armi micidiali, di una base operativa in cui si tenevano veri e propri summit per pianificare minuziosamente le rapine da mettere a segno tra il capoluogo ionico e la provincia di Lecce. Il giorno dell’arresto, 12 anni fa, i poliziotti della Mobile di Taranto e dello Sco di Roma riuscirono a fermare l’ennesimo colpo.

Il primo, fallito, era avvenuto il 2 maggio 2013 a un furgone portavalori che trasportava 1 milione e 500mila euro. Gli investigatori erano poi riusciti a seguire lui e i suoi complici «in tempo reale» per diversi mesi, grazie al ritrovamento di un telefono «citofono», utilizzato per le comunicazioni non tracciabili, con i relativi tabulati. Le intercettazioni e le cimici piazzate nell’officina usata come quartier generale del sodalizio, avevano permesso agli inquirenti di capire il modus operandi del gruppo.

L’inchiesta «Armored», dall’inglese «corazzato», svelò sopralluoghi, attività di osservazione, simulazioni dei percorsi da fare dopo i blitz e persino le prove su cosa indossare per far perdere le proprie tracce. Assalti che si consumavano con l’uso di fucili e spranghe di ferro. Coperto in volto per rendersi irriconoscibile, Mastropietro era in prima linea nel pianificare anche le cosiddette rapine spot, un canale parallelo a quello principale del sodalizio per procurarsi liquidità che non avevano distolto degli assalti programmati dall’associazione. Macchine furgonate rubate da poter utilizzare per il lavoro grosso, abiti identici per tutti, disponibilità di armi - durante le perquisizioni furono trovati non solo pistole e fucili, ma anche un bazooka e un M10 - e la spartizione delle “quote” del bottino, rapportate al rischio corso da ognuno di loro.

L’assalto fallito che diede l’impulso alle indagini, fu ai danni di un furgone portavalori dell’istituto di vigilanza della Sveviapol, nelle campagne di Monteiasi, a Taranto. Quel giorno il loro bersaglio percorreva la strada provinciale 81 dirigendosi verso un ufficio postale. Il portavalori non sapeva però di essere già stato intercettato: prima una Fiat Uno si era piazzata davanti costringendo a rallentare la marcia. Poco dopo, dalla corsia opposta, era sopraggiunto un autocarro cassonato che si era diretto a tutta velocità contro il blindato andandogli contro e costringendo a finire la sua corsa. Fu allora che uno dei rapinatori, coperto in volto e imbracciando un fucile ordinò ai presenti di scendere dal mezzo. Le guardie giurate a quel punto cercarono riparo nella parte posteriore del veicolo, mentre il gruppo con violenza apriva il fuoco. Colpi furono esplosi anche all’interno del veicolo, con un fucile passato nel foro dei cristalli e puntato all’interno, mentre le guardie atterrite cercavano riparo nel caveau del veicolo. Alcuni di loro salirono addirittura sul tetto e con una fiamma ossidrica tentarono di trapassare le diverse blindature del mezzo per accedere alla cassaforte. Un colpo che durò 10-15 minuti, fino alla resa di Mastropietro e dei suoi complici che, compreso di non poter arrivare al denaro, costrinsero un automobilista a dar loro le chiavi della propria auto per poi darsi alla fuga.

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