MESAGNE - «Se non avessimo l’ossigeno non potremmo apprezzare tutte le altre cose. Il mio obiettivo è quello di ingrandire la coltivazione per creare in quest’area qualcosa di unico in Italia, una foresta di una estensione tale che effettivamente solo andando nell’Est del mondo (Cina, Giappone, Tailandia) si possa trovare qualcosa di comparabile. Voglio creare un apporto incredibile di produzione di ossigeno». A parlare è il lungimirante e ambizioso ingegnere mesagnese
Luigi Argese, 44enne e impiegato nel settore aeronautico, che nel 2019 ha sfidato i propri amici - che lo hanno creduto folle - mettendo a dimora piante di bamboo tra le campagne di Mesagne e Brindisi. E, a oggi, ci è riuscito: con dedizione, è nata una piccola e fitta foresta con piante che arrivano ai 12 metri di altezza. Si sviluppa su circa tre ettari di terreno il bambooseto a cui hanno creduto due soci che oggi lo accompagnano e supportano nell’obiettivo di migliorare l’aria che si respira. «Abbiamo sviluppato una normativa di settore con il consorzio Bamboo Italia e, soprattutto, con la società BambooPro.
È stato fatto uno studio col Politecnico di Milano per capire effettivamente quanta CO2 riuscisse ad assorbire una coltivazione di bamboo gigante. Un ettaro di bambooseto può neutralizzare circa 275 tonnellate di CO2 all’anno, contro le 7,74 di un bosco misto di conifere e latifoglie. Senza considerare tutto l’assorbimento dell’apparato radicale fittissimo che lavora anche a maggese». Un investimento, dunque, che pensa al benessere attuale e a quello delle generazioni future, avendo il bambooseto una vita tra gli 80 e i 120 anni. E non solo, perché la pianta di bamboo è impiegata anche nel settore agroalimentare, in quello tessile e nell’edilizia biosostenibile.
Per esempio, il terminal 4 dell’aeroporto di Madrid-Barajas, il secondo più grande d’Europa, utilizza il bamboo per la copertura e i pavimenti ed è uno dei progetti più grandi al mondo realizzato con l’acciaio vegetale. «Però la prima vera fonte di guadagno del bambooseto è il carbon credit, ossia una quantità certificata di assorbimento di CO2 che può essere ceduta a chi genera inquinamento». Introdotto per la prima volta con il Protocollo di Kyoto e confermato dall’Accordo di Parigi del 2015, il concetto dei crediti di carbonio si è dimostrato cruciale nella lotta contro i cambiamenti climatici ed «è questo il motivo per cui, a livello internazionale, è il commercio più folle con un valore potenziale ancora oggi non quantificabile. Le sanzioni per le industrie continuano a crescere e sarà sempre più importante per loro compensare». Un business, quello di Luigi Argese, iniziato nel 2019 come una sfida e che oggi, tramite la piattaforma Blockchain, gli ha permesso di immettere sul mercato i propri carbon credits certificati cedendoli a una società francese, che ha così compensato a livello globale le immissioni di anidride carbonica nell’aria.