«È senz’altro emerso che Francesco Campana abbia mantenuto i contatti con alcuni dei suoi affiliati (in libertà, ndr) anche per il tramite della moglie, Lucia Monteforte che, con frequenza regolare, si recava a fargli visita in carcere».
Per questo il tribunale di Brindisi ha condannato la donna per concorso esterno in associazione mafiosa, chiudendo il conto a sei anni e otto mesi di reclusione al termine del processo scaturito dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, coordinata dal pubblico ministero Giovanna Cannalire, chiamata «Old Generation», sulla vecchia guardia della Sacra corona unita e sul clan del cosiddetti tuturanesi.
Il collegio, presieduto da Valerio Fracassi, ha inflitto venti anni di reclusione a Francesco Campana per aver ricoperto un ruolo di vertice nel sodalizio di stampo mafioso, anche dalla casa circondariale in cui era ristretto.
La coppia si è sposata in carcere nel 2015.
La contestazione mossa nel capo d’imputazione si riferisce al periodo di tempo compreso tra il 2015 e il 24 settembre 2020.
Il tribunale ha escluso per la donna l’affiliazione al clan, così come il favoreggiamento personale e l’assistenza agli associati sostenendo che, stando a quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale, avrebbe «aggiornato costantemente Campana anche rispetto all’aiuto economico per il detenuto e la sua famiglia, tanto da consentire al marito di fornire indicazioni sul da farsi».
Nelle motivazioni, il tribunale ha fatto anche riferimento a contatti, definiti «reiterati e non giustificati da alcuna attività lecita, con Tiziano Di Gioia», estraneo a questo processo e ritenuto attivo dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce «nella gestione del traffico di droga con persone vicine a Francesco Campana».
Tiziano Di Gioia avrebbe dato a Lucia Monteforte somme di denaro ma la donna, nel corso del suo esame in veste di imputata, ha negato di conoscere l’uomo.
Secondo i giudici, inoltre, somme di denaro sarebbero state ricevute da Lucia Monteforte come ricavi dell’attività estorsiva condotta da alcuni affiliati ai danni di imprenditori del Brindisino.
Non si tratta - è scritto nelle motivazioni - di azioni espressione dei «vincoli di solidarietà familiare» ma di condotte che «trasbordano in una partecipazione attiva e consapevole» al gruppo criminale.
Anche perché Lucia Monteforte sarebbe stata a conoscenza dei codici comunicativi del sodalizio.
La difesa, affidata all’avvocato Cosimo Lodeserto, ha già iniziato a lavorare per preparare il ricorso in appello.