Il territorio brindisino sotto la spada di Damocle della Xylella fastidiosa, ma in queste settimane anche di un altro autentico flagello: gli storni.
Ha fatto, infatti, la sua comparsa da qualche giorno lo sturnus vulgaris, volgarmente denominato storno. Si tratta di volatili che hanno iniziato a depredare, nelle ore diurne, le olive dagli oliveti della zona litoranea brindisina, da Fasano fino a Brindisi, e che nelle ore notturne stazionano nei canneti e nelle aree umide di Torre Canne e Torre Guaceto.
Ma i danni non sono solo quelli relativi agli oliveti – che alla fine di ogni annata olivicola raggiungono milioni di euro – ma anche ai campi coltivati ad ortaggi. Le deiezioni che, infatti, milioni di storni in volo, ma anche raso terra, lasciano cadere, vanno a finire sulla verdura coltivata in campo, rendendola igienicamente e salubremente a rischio e quindi di fatto rendendola invendibile.
Se in alcune province della Puglia, come Foggia, Bari, Bat e Taranto, il problema della fauna selvatica è relativo ai danni causati dai cinghiali alle colture, e agli attacchi agli allevamenti della Murgia e del Gargano da parte dei lupi, in provincia di Brindisi, invece, i danni maggiori da fauna selvatica sono arrecati dagli storni. Ormai da decenni la questione viene posta dalle associazioni agricole a tutti i livelli istituzionali, ma fino ad ora lo storno continua ed essere ritenuto una specie protetta e pertanto non si può cacciare, salvo alcune deroghe che sono state concesse negli anni scorsi a livello regionale o a livello territoriale.
E il problema non è solo di natura economica, per la perdita di prodotti agricoli, ma anche di sicurezza dei cittadini – se si pensa al pericolo arrecato dai cinghiali che attraversano le strade percorse da automezzi, al pericolo degli attacchi di lupi non solo al bestiame ma anche all’uomo – e di salute dei consumatori, se si pensa, appunto, alle deiezioni che gli storni – milioni di esemplari che volano tutti insieme – lasciano sugli appezzamenti coltivati ad ortaggi.
La crescita dell’incidenza dei danni da fauna selvatica è esponenziale. Ad oggi, i danni diretti al settore agricolo accertati dalle Regioni corrispondono a 50-60 milioni di euro l’anno. Secondo la Cia, gli agricoltori hanno diritto al risarcimento integrale della perdita subita a causa di animali di proprietà dello Stato (quali sono appunto storni, lupi e cinghiali), comprensivo dei danni diretti e indiretti alle attività imprenditoriali. Bisogna superare la logica del “de minimis”; mentre criteri, procedure e tempi devono essere omogenei sul territorio, con la gestione affidata alle Regioni.