TRANI - Non sembrano esserci più dubbi sul fatto che sia proprio la cosiddetta “cava fumante” di contrada Monachelle ad avere ripreso l’attività, diffondendo in città gli odori molesti che tanto stanno disturbando i tranesi nelle ultime settimane.
Sabato pomeriggio, anche grazie alle immagini colte dal drone regolarmente pilotato da un cittadino in possesso di idonea licenza, è stato possibile chiarire meglio il luogo e natura dei fumi, insieme con molti altri particolari che da terra inevitabilmente sfuggivano.
Le foto dall’alto mostrano che i roghi – sicuramente più di un focolaio - si sono riaccesi proprio al di sotto di una delle due porzioni di cava che erano state trattate tra il 2017 e 2018, con operazioni di sbancamento tramite escavatori.
È facile distinguere come vi sia una parete completamente bianca, dove evidentemente le operazioni furono completate con successo, ed una che è diventata grigia ed è sovrastata da numerose macchie da cui i fumi, a seguito di un nuovo incendio, si stanno diffondendo.
Nel momento in cui abbiamo raccolto le immagini il focolaio acceso da cui fuoriusciva fumo era apparentemente uno solo, ma quello che colpisce è la grande diffusione di macchie marroni, segno del fatto che i fuochi sono presenti in numerosi punti.
Non sfugge, inoltre, la circostanza che mostra l’apertura di un vero e proprio cunicolo sotto quella crosta grigia e maculata, a probabile dimostrazione del fatto che l’intervento umano di sei anni fa, almeno su quel versante della cava, non abbia forse risolto alla radice il problema.
Nel frattempo, da terra, abbiamo colto anche un altro inquietante particolare: la presenza di numerosissimi barattoli e fusti, che potrebbero essere stati smaltiti illecitamente da operatori del settore meccanico e dati alle fiamme.
Di certo, così come avveniva sei anni fa, l’odore dei fumi si avverte soprattutto avvicinandosi al sito, mentre sul ciglio della cava gli stessi si respirano – ma sono insopportabili - soltanto in particolari momenti a seconda della direzione del vento.
Da qui si deduce come sia più facile che, a pagare le conseguenze di questo vero e proprio disastro ambientale, siano i residenti in città, costretti spesso - come denunciano alcuni sui social - a chiudersi in casa serrando le tapparelle per evitare di convivere con gli odori molesti.
Stando a quanto accertato all’esito delle indagini svolte dalla Procura di Trani a seguito dei fatti di sei anni fa, in quel luogo fu scaricata illecitamente una gran quantità di plastica frammista a vetro. Le analisi di Arpa Puglia chiarirono che si trattava di benzene, che però bruciava con emissioni nei limiti. Ma ciò non evitò che si procedesse ad un robusto sbancamento del terreno fumante e del materiale ivi conferito, circostanza che, peraltro, sembra non abbia impedito che il fenomeno si ripresentasse impedisce.
A quanto si è appreso il sindaco, Amedoe Bottaro, ha già allertato Arpa e tutte le istituzioni preposte alla luce del nuovo fenomeno, poiché già nei giorni scorsi gli erano giunte alcune precise segnalazioni da parte di operatori della zona circa la ripresa dell’attività fumante della cava.
Oggi, grazie alla presenza sul posto di uno strumento d’ausilio per immagini dall’alto, che per una volta diventano utili a scopo di indagine e non per la realizzazione di video promozionali fini a sé stessi, possiamo provare a fornire un contributo ulteriore ai fini dell’accertamento dello stato dei luoghi.
Nel frattempo, come detto, sui social si fa un gran parlare questi fenomeni e c’è già chi, senza mezzi termini, torna ad accostare Trani alla «terra dei fuochi». La circostanza va contestualizzata: è vero che c’è qualcosa che brucia, ma il sito è solo uno ed è ben conosciuto. Al contrario, immaginarsi focolai in tutta la città senza documentarli è disinformazione e procura allarme. Adesso c’è solo da non perdere tempo per intervenire.