BARI - È «l’evidente connessione» emersa in corso d’opera tra la vecchia indagine di Lecce e quella nuova di Potenza in cui è coinvolto anche Carlo Capristo che «determina la necessità che i due processi vengano trattati unitariamente presso l’ufficio giudiziario potentino», comportando quindi anche la dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Lecce e l’annullamento della sentenza di primo grado. Con le motivazioni depositate ieri, a tempo di record, la Corte d’appello salentina (presidente Scardia, relatori estensori Biondi e Colitta) ha spiegato perché il 1° aprile ha azzerato il procedimento a carico dell’ex gip Michele Nardi e altre quattro persone, cancellando così la condanna a 16 anni e 9 mesi inflitta in primo grado al magistrato tranese tuttora sospeso.
La velocità nel deposito delle motivazioni è probabilmente collegata al fatto che martedì prossimo, davanti a un differente collegio, a Lecce è previsto l’appello dell’ex pm Antonio Savasta, che a differenza di Nardi aveva scelto il rito abbreviato (10 anni) e che nella nuova indagine di Potenza è considerato concorrente di Nardi e di Capristo. L’indagine di Lecce sulla «giustizia truccata» di Trani ha ipotizzato (con conferma in primo grado) che Nardi, Savasta e l’altro ex pm Scimè (4 anni) abbiano preso denaro e regali dall’imprenditore Flavio D’Introno in cambio di decisioni giudiziarie favorevoli. La Procura di Potenza, pur non contestando l’associazione a delinquere ma il semplice concorso, ha allargato lo sguardo: nello stralcio del «fascicolo Amara» per cui ha già chiesto il rinvio a giudizio, ipotizza che in cambio di una «raccomandazione» per la nomina a procuratore di Trani, Capristo (nel frattempo diventato procuratore di Potenza) avrebbe garantito a Nardi «protezione» per sé e per gli ex pm Savasta e Luigi Scimè. Da qui l’accusa di corruzione in atti giudiziari.
Al di là della qualificazione giuridica, il collegio salentino ha riconosciuto «la medesimezza del disegno criminoso» ipotizzata dai due uffici di Procura, «poiché è evidente che l’attività corruttiva nei confronti del Capristo era stata posta in essere proprio al fine di assicurare piena operatività al sodalizio criminoso». E dunque la Corte d’appello è andata addirittura oltre le richieste della difesa di Nardi, che aveva invocato la rimessione degli atti alla Cassazione affinché decidesse sulla competenza. Quella «medesimezza» della contestazione è infatti la condizione giuridica richiesta per determinare uno spostamento di sede del processo: va a Potenza perché quello è il Tribunale competente sui magistrati del distretto di Taranto (come lo era Capristo al momento della contestazione), con conseguente ritorno al punto di partenza delle accuse mosse da Lecce.
La stessa Corte d’appello prova però a fare salvi gli atti di indagine compiuti fino a questo momento specificando che la competenza di Potenza è, per così dire, sopravvenuta, perché fino al 15 gennaio 2020 «non esisteva la pendenza presso la Procura della Repubblica di Potenza di un procedimento connesso» con quello di Lecce, né tantomeno i pm salentini avevano mai ipotizzato accuse a carico di Capristo. «Fino alla pronuncia della sentenza di primo grado - è detto in motivazione -, anche a rendere noti tutti gli atti fino a quel momento disponibili per valutare la fondatezza della prospettata questione di incompetenza, la stessa non sarebbe stata meritevole di accoglimento, mancandone i presupposti».
Lette le motivazioni, la Procura di Lecce procederà a trasmettere a Potenza le oltre 40mila pagine di atti dell’inchiesta. E saranno i pm lucani a decidere se e come procedere a notificare un nuovo avviso di conclusione e una nuova richiesta di rinvio a giudizio. È ipotizzabile che Potenza accorpi le «nuove» accuse (per le quali l’udienza è slittata al 15 maggio) con le «vecchie» di Lecce.
Martedì prossimo toccherà dunque a Savasta, tuttora ai domiciliari. Il ragionamento che il collegio ha fatto per Nardi vale, ovviamente, anche per l’ex pm, che a questo punto potrebbe invocare le stesse motivazioni per chiedere l’annullamento della sentenza di primo grado. Difficilmente potranno fare lo stesso i suoi coimputati (escluso forse Scimè): mentre quelli di Nardi rispondevano di associazione, nei confronti degli altri imputati che hanno scelto l’abbreviato le contestazioni erano infatti circoscritte.
Nel frattempo alla vigilia di Pasqua è tornato in carcere Flavio D’Introno. I due anni e 6 mesi che l’imprenditore coratino ha patteggiato a Lecce per la corruzione dei magistrati di Trani sono diventati infatti definitivi, e si sono sommati con il residuo di pena (un anno e 8 mesi) che D’Introno stava scontando ai domiciliari per usura. Anche D’Introno (portato nel penitenziario di Trani) è tra gli imputati nel nuovo filone di Potenza, seppure per una differente ipotesi di concussione che vede coinvolti anche Capristo, Nardi, Savasta, e che potrebbe essere coperta dalla prescrizione.