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Giuseppe Dimiccoli
08 Aprile 2020
Barletta - «Sapevo di dover partorire nelle prime settimane di aprile. Mi dicevo forse nascerà la domenica delle Palme. Forse a Pasqua. Mai avrei immaginato di ritrovarmi in una situazione del genere, che sicuramente passerà alla storia». Inizia così il racconto alla Gazzetta di un parto indimenticabile. A raccontarlo Rosanna Maffione 37enne barlettana biologa nutrizionista e consigliere comunale del Partito democratico. Del resto immaginare che suo marito Daniele e sua mamma Vittoria fossero in trepidante attesa in auto nel parcheggio del policlinico a Bari con il telefonino in mano è qualcosa di inimmaginabile. Tuttavia, in questa dimensione del coronavirus, è avvenuto. Leggere per credere.
«Partorire ai tempi del Covid-19 significa arrivare al pronto soccorso, sentir dire a tuo marito che dice impaurito ‘presto mia moglie sta partorendo’, e inconsciamente, senza neanche salutarci sentirsi scippare dietro le porte di un ascensore. Da quel momento la tua famiglia diventano le altre partorienti e tutto il personale sanitario che è con te - ha raccontato Rosanna -. Ho trascorso un pomeriggio in sala travaglio con le contrazioni che incalzavano alternando la messa delle sante palme con la voce di mio marito che virtualmente mi teneva la mano e la voce di mia madre che mi incoraggiava ad ogni dolore atroce. Dicevo loro andate a casa, non restate nel parcheggio dell’ospedale ma loro mi rispondevano che anche solo guardare la facciata di quell’edificio dove ero ricoverata li rassicurava e li faceva sentire più vicini a me».
Rosanna, con serenità, aggiunge: «Nel frattempo in quella stanza eravamo tre donne. Soffrivamo e ridevamo. Una coccolava l’altra non sapevamo neanche i nostri nomi. Non avevamo neanche avuto il tempo di presentarci, ma in quel momento ognuno sosteneva l’altra. Le ostetriche, le infermiere ci hanno coccolato come se fossero le nostre mamme. Le nostre sorelle. I nostri angeli. Il mio angioletto si chiamava Rosanna, proprio come me. E così sono passate una. Due. Quattro. Sei ore».
E poi: «Quando ci siamo trasferiti in sala parto, l’amore per mio marito mi ha spinto ad avere il telefono con me. Due spinte mi dicevano i medici ed è fatta. Sentivo il pianto di mia madre Vittoria. La voce di mio marito Daniele che mi diceva forza amore mio e quando ho urlato per l’ultima spinta strappandomi la mascherina ho capito che era tutto finito. È nata Elisa Maria (El in ebraico significa Dio). Una brevissima video chiamata ci ha riuniti in un unico pianto».
Cosa sarà stato stare in un parcheggio e sentire la propria moglie che mette al mondo tua figlia?
Cosa sarà stato per una madre stare in una macchina di un parcheggio e sentire soffrire una figlia sapendo esattamente cosa si prova?
«Proprio non riesco ad immaginarlo – ha proseguito Rosanna -. Per due giorni non avrò nessuno ho pensato e quindi mi sono passati per la mente tutti coloro che avrebbero voluto venire a trovare me e la piccola Elisa Maria. Ma se questo serve a sconfiggere il nemico invisibile è giusto che sia andata così. E poi i sanitari hanno lavorato nel miglior modo possibile senza avere parenti».
«Quando sono arrivata in stanza, da sola ovviamente, senza nessun palloncino, senza confetti, bomboniere e fiocco ho pensato che tutte queste cose sono solo dei contorni e non creano la felicità. Anzi forse sono solo degli invadenti contorni che distraggono l’attenzione dalla cosa più importante che è la nuova vita. Poi per rasserenarmi ho pensato alla mia famiglia, alla mia bambina Irene che mi aspetta a casa per il biberon della sera e a tutte le donne che partoriranno in questo periodo. Forza mamme ai tempi del coronavirus la vita è una sfida meravigliosa», ha concluso Rosanna accarezzando il suo angioletto con una mano e con il cuore Irene.
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