BARI - «In questi anni Brindisi ha fatto dei miracoli, ma non sempre riescono. Ovviamente l’allenatore conta, ma non è facile ogni anno ricreare equilibri con giocatori che vengono per mettersi in evidenza e poi andare fare soldi con squadre che hanno budget maggiori. Brindisi è stata per tanti anni ai vertici del basket nazionale, da pugliesi non possiamo che essere soddisfatti e non può che renderci orgogliosi». L’ormai ex re del «tiro ignorante», al secolo Gianluca Basile da Ruvo, dal buen retiro di capo d’Orlando, tra la passione per la pesca, il ritrovato amore per la terra e la cura dei cani, prova a giocare a tutto campo tra campionato italiano, nazionale, Eurolga e Nba.
Il campione azzurro - indimenticabili l’oro europeo di Parigi ‘99 e l’argento olimpico di Atene 2004 - parte proprio dall’Happy Casa Brindisi, ancora una volta rinnovata e un po’ sull’altalena in questa prima parte di stagione. «Brindisi dopo tanti anni che ha fatto grandi cose, deve ancora trovare l’assetto giusto. Ma ci sta. Certo tutti vorremmo che ci fosse subito la giusta chimica vincente, con giocatori non gettonati e con un roster che cambia ogni anno, ma non è facile».
La squadra del patron Marino è al vertice di un movimento regionale che ha due squadre in Legadue, San Severo e Nardò, e un’agguerrita pattuglia di formazioni in B: Ruvo, Corato, Monopoli, Taranto e Bisceglie.
«La Puglia è sempre stata amante del basket, mi ricordo ai miei tempi piazze come Corato, Barletta, Monopoli che avevano una tradizione. A livello cestistico c’era tanta roba e tanta passione. Però ho un grande rammarico».
Ovvero?
«Mi chiedo perché quelle tre, quattro formazioni importanti di serie B, soprattutto nel Barese non si mettano insieme per fare una squadra competitiva che sia simbolo del territorio, proprio come lo è Brindisi. Ci sono tanti presidenti appassionati e grandi imprenditori, ma mi rendo conto che senza la passione non si va da nessuna parte, anche perché profitti non ce ne sono. I settori giovanili sono stati distrutti dalla Bosman, i parametri sono poca roba e alla fine ovviamente bisogna far quadrare i bilanci. Capisco che è difficile, ma sarebbe bello».
Milano e Bologna sono di un’altra categoria. Un bene o un male per il campionato?
«Certo la crescita di Milano e Bologna è importante anche perché dà maggiore visibilità a tutto il movimento, anche se poi vincono solo loro e non è bellissimo. Tranne in Coppa Italia, che anche per la formula può produrre sorprese, ai playoff, in una serie di cinque partite, la differenza di valori si vede. All netto di infortuni, capacità di sopportare la pressione e stato di forma dei giocatori, chi ha avuto maggiore continuità durante il campionato vince sempre».
Di fatto Olimpia e Virtus fanno un campionato a se, pur giocando in Eurolega.
«Per altri versi, il campionato diventa più avvincente, perché tutte le altre squadre hanno l’obiettivo di battere le due corazzate. E quando una piccola batte una grande fa bene a tifosi e società e magari si avvicinano anche nuovi sponsor. Per assurdo per le squadre più piccole quelle sono le partite più facili, perché non hanno nulla da perdere. Io mi sono trovato da entrambi le parti. Chi fa l’Eurolega, gioca tante partite, viaggia, deve fare i conti con gli infortuni, mentre le piccole squadre lavorano tutta la settimana per preparare la partita, anche i tifosi sentono maggiormente la sfida e possono far scattare la scintilla per fare grandi imprese».
Capitolo nazionale. Gli azzurri erano a due liberi dalle semifinali dell’Europeo
«Ci sono rimasto malissimo, se fossi stato nello staff del Poz (il ct Pozzezzo, ndr) sarei stato ancora peggio. Certo siamo arrivati a due tiri liberi e a un lay up di mano destra del nostro miglior giocatore, Fontecchio (che se lo fa altre 100 volte non ne sbaglia uno) dalla semifinale. È anche vero che sempre rispetto alla Francia, all’Olimpiade (anche a Tokio azzurri elimnati dai bleus ai quarti, ndr) il gap era più ampio, ora lo abbiamo assottigliato, ma dobbiamo ancora crescere».
Operazione qualificazione ai Mondiali completata con successo, non senza qualche logica sofferenza: qual è il prossimo passo per crescere adesso?
«Esserci qualificati con una squadra dimezzata è segno di crescita. Pozzecco ha fatto un grande lavoro, vedi l’evoluzione di Spissu, ma adesso serve un salto di qualità. Sono anni che non vinciamo una medaglia e la pressione aumenta sempre di più, ma dobbiamo crederci. Ci sono giocatori che lo meriterebbero: penso a Datome e alla sua bellissima carriera».
A proposito di Fontecchio, il suo percorso, al pari di Melli e Datome, dimostra una volta di più l’importanza di giocare in Eurolega. Che ne pensa?
«L’Eurolega è il modo di giocare in Europa sono decisivi. Basta vedere Luka Doncic, un giocatore di rara intelligenza, come a 23 anni sta dominando in NBA dopo essere cresciuto in Europa e in Eurolega».
Meglio le NBA o L’Eurolega?
«È una questione di cultura totalmente diversa. In America l’obiettivo è il funzionamento del prodotto e dello spettacolo, in Europa l’importante è vincere, per cui lavori molto di più su tattica e fondamentali. Agli USA invidio la loro organizzazione, a partire dal livello scolastico e di college. Purtroppo da noi non è possibile perché il livello scolastico semplicemente non esiste, non abbiamo strutture né organizzazione».
Le mancano la Puglia e il basket?
«Certo, ma in Sicilia ho messo casa. Adesso vado un po’ di meno a pescare e sono tornato alle origini: mi prendo cura della terra e sto provando nell’impresa di spostare in Sicilia la cultura pugliese dell’ulivo (ride). Nel frattempo mi occupo anche di salvare e dare assistenza ai cani randagi, con mia moglie Nunzia e le mie tre figlie».