«Accade in queste settimane – spiega Maurizio Carretta presidente di Unità Contadina – che il grano canadese classificato numero tre, a differenza dei nostri parametri qualitativi, da considerare di qualità “media” è quotato a 30 euro al quintale contro i 25,5 euro al quintale del nostro grano che risponde a qualità decisamente migliori, perché classificato con 12 proteine e peso specifico 80. Le quotazioni del grano del lavellese-melfese-venosino sono persino al di sotto di quelle dei listini delle borse pugliesi e nazionali di grano-cereali».
«La situazione – continua Carretta – è diventata insostenibile perché noi della struttura di conferimento siamo costretti a rimetterci per tenere fede all’impegno economico con i nostri associati. Le istituzioni devono intervenire almeno garantendo lo stesso prezzo del nostro grano con quello estero e per vigilare sui signori dei molini e della pasta che volteggiamo come avvoltoi sulle nostre teste, uccidendo il granaio della Basilicata».
«Ormai nella pasta italiana – dice Lomio, produttore cerealicolo del Vulture - vengono impiegati grani duri per il 70% di origine estera (Ucraina, Kazakhistan, Australia, Canada), con seri problemi di qualità e sanità del prodotto, come emerge da alcuni processi in corso contro alcuni importatori. Abbiamo bisogno di combattere senza tregua l'economia dell'inganno con un sistema coordinato e pianificato dei controlli. E' necessaria a livello regionale e nazionale una cabina di regia con tutti i soggetti preposti ai controlli e le organizzazioni professionali agricole per affrontare in maniera seria il grave problema delle importazioni illegittime e il falso made in Italy. Chiediamo al governo regionale e nazionale un tavolo interprofessionale per regolare il mercato».
«Ma – evidenzia Nisi – malgrado i segnali di ripresa dello scorso anno, l’Italia ha prodotto il 6,5% in meno. Si tratta di una diminuzione di circa 250mila ettari. Occorre dunque arrestare il declino della produzione di grano duro italiano, se vogliamo garantire prospettive produttive e di reddito al sud Italia e soprattutto tutelare il “made in Italy” della pasta, dato che oggi l’industria è arrivata ad approvvigionarsi all’estero per il 50% del proprio fabbisogno ed è necessario salvaguardare l’utilizzo delle sementi certificate, strumento insostituibile per incrementare la produttività e il miglioramento qualitativo».
La Cia rivendica l’adozione del Piano Cerealicolo Regionale in sinergia con il Piano nazionale.
















