Èuna calda estate quella che si sta consumando in Basilicata. Su un tema in particolare, che in queste ore sta infiammando il dibattito pubblico: l’autonomia differenziata. A Sud, la discussione non si placa, ed anzi, dalle parole si è passati all’azione, con settanta sindaci lucani e i presidenti di Provincia di Potenza e Matera, in tutto 72, che oggi chiedono al presidente della Regione Vito Bardi di dire «No all’autonomia differenziata».
L’ idea è partita da Mosè Antonio Troiano (Pd), primo cittadino di San Paolo Albanese, uno dei più piccoli comuni lucani, con poco più di 200 abitanti. Sindaco ma anche vicepresidente dell’associazione dei sindaci del Sud Italia, Recovery Sud, nata lo scorso anno ad Acquaviva delle Fonti e che oggi conta oltre 300 iscritti. Un’iniziativa che si aggiunge alle azioni del Pd lucano con il capogruppo Piero Lacorazza e i suoi consiglieri regionali Piero Marrese e Roberto Cifarelli, che ha posto come primo atto del Consiglio regionale nella seduta del 2 agosto, la richiesta di Referendum contro l’Autonomia con il centrodestra di risposta, commenta il deputato dem Enzo Amendola «che ha reso evidenti le sue divisioni e ha presentato una mozione pro Autonomia Differenziata, che non è stata però supportata dalla maggioranza. Una crepa interna evidente, che ci spinge a continuare sempre più forte la nostra battaglia contro questa legge divisiva e dannosa per il Mezzogiorno».
Insomma la legge «spacca Italia», un tema caldo non solo a livello nazionale, anche della passata tornata elettorale lucana, che ha portato ad aprile alla riconferma del generale Bardi e del centro destra, non piace al popolo lucano che sta aderendo alla raccolta firme (a livello nazionale già superate le 500mila adesioni). La battaglia è in corso. Due schieramenti, il fronte del no e quello del sì, con il presidente Bardi che ha preso in mano le redini del dibattito, ribadendo durante la seduta del consiglio regionale del 2 agosto, che «la persistenza dei divari tra le regioni del nord e quelle del sud, i cui dati sono noti a tutti, dimostra che l’attuale modello di distribuzione delle funzioni decisionali della Repubblica non riesce a produrre risultati diversi da quelli noti. Pur tenendo conto delle tante osservazioni critiche, il modello in atto è ancora prevalentemente incardinato su un sistema di accentramento delle funzioni decisionali, peraltro in piena espansione a partire dall’impianto del PNRR, ed è oggettivamente distante da quello scelto dai Costituenti nel 1946, in alternativa al modello accentrato, per superare i divari territoriali». Ma Bardi ha anche smorzato i toni del dibattito, ribadendo che «come tutte le riforme anche questa ha necessità di essere monitorata con continuità per verificarne la coerenza, per analizzare nel concreto costi-opportunità, per discernere su quali materie è opportuno o meno, per una Regione come la nostra, avvalersene. È di questo che dovremmo occuparci, accettando la sfida del cambiamento».