Carol (nome di fantasia scelto per rispettare la sua volontà di anonimato) ha 40 anni e nel 2018 è entrata nella comunità terapeutica Potenza Città Sociale. L’obiettivo: uscire dal tunnel dell’alcol.
Riesci ad individuare il momento in cui hai perso il controllo?
«Ho perso il controllo con l’alcol alla fine di una storia d’amore. Una delusione che mi dava un forte dolore. Bere non era il passatempo del sabato sera, ma il modo che avevo, ogni giorno, per calmare il dolore. Il problema è non accettare di avere un problema quindi non affrontarlo. Quando ho perso il lavoro ho toccato il fondo, sentivo il bisogno di chiedere aiuto, ma avevo paura. Devo ringraziare il Sert di Matera per avermi convinta».
Com’eri quando sei arrivata in comunità?
«Distrutta, arrabbiata con me e con il mondo, non parlavo con nessuno ed ogni giorno pensavo di andarmene. Poi ho cominciato a stare meglio, a svegliarmi senza pensare all’alcol. Una sensazione bellissima».
Sei mai andata via dalla comunità?
«No, ma parecchie volte mi sono sentita ferma, che stavo perdendo tempo».
Il ricordo più brutto e quello più bello?
«Il più brutto è il primo periodo. Il più bello quando ho sentito il cambiamento».
Il consiglio che daresti a chi affronta il percorso o non riesce a decidersi?
«Trovare la forza e volerlo davvero. Sarà stupendo».
Com’è avvenuto il reinserimento nella società e nel lavoro?
«Gradualmente ho cominciato ad uscire sul territorio e tornare a casa. Sono stata a lungo indecisa se tornare a Matera. Ho scelto di restare a Potenza perché qui la gente mi conosce per come sono ora. Non mi ricorda per quella che ero. Inizialmente ho trovato ospitalità presso l’Housing Sociale, ma ora ho un appartamento per conto mio. Da ben tre anni mi occupo di pulizie presso un’azienda che mi ha dato fiducia».
Hai ancora rapporti con la comunità?
«Da circa un anno sono operatrice volontaria ed ogni 15 giorni presto servizio notturno. Condividere la mia esperienza ed ascoltare le storie di altri ragazzi mi aiuta e tiene vivo il ricordo della comunità».
Cosa pensi delle comunità punitive con metodologia diversa da quella che ti ha accolto?
«Non dimenticherò mai le parole della dott.ssa Bencivenga “Noi vi diamo uno zaino vuoto. Sarete voi a riempirlo”. Se io ti punisco, quando non ci sarò cosa farai? La comunità dà un esempio, un indirizzo, poi siamo noi a fare una scelta».
Lo Stato, la famiglia, la Chiesa, la Scuola potrebbero fare di più per prevenire le dipendenze?
«La consapevolezza dei rischi sarebbe una possibilità. Quando ero giovane pensavo a divertirmi, non sapevo nulla delle conseguenze. Bisogna informare di più. I ragazzi devono avere paura delle sostanze o dell’alcol, non pensare che sia figo».
È importante il sostegno della famiglia durante il periodo in comunità?
«Tantissimo. A me è mancato, ma è importante. Le famiglie non dovrebbero solo essere felici a problema risolto. Dovrebbero capire la difficoltà che viviamo durante il percorso, che è davvero doloroso e faticoso da affrontare».
La tua paura?
«Tornare indietro. Il pericolo è dietro l’angolo. La comunità non ti dà una garanzia per il futuro».
Il tuo sogno?
«Andare in un paese caldo, ma quello più grande per metà si è già realizzato ed è stare bene. C’era una cosa che mi dicevano sempre e che all’inizio mi faceva arrabbiare: “Noi ti faremo innamorare della vita e di te”. È accaduto ed è bellissimo».