MATERA - La «sentenza» non è in burolingua. È chiara e circostanziata. Altro che polmone verde d’Italia o mini Amazzonia d’Europa. La Basilicata vomita in cielo gas a effetto serra serra a go-go.
Bruxelles, primo giugno 2023. «Documento di lavoro dei servizi della Commissione». «Tendenze regionali per la crescita e la convergenza nell’Unione europea». Allegato 2,8: «Emissioni di gas a effetto serra (Ghg)». Ecco cosa è scritto testualmente a pag. 25 a proposito delle «Disparità regionali tra e all’interno degli Stati membri»: «[...] vi è un numero molto maggiore di regioni in cui le emissioni di gas serra sono aumentate durante questo periodo (1990- 2021, ndr), in particolare in Polonia, Spagna, Francia e Italia». E fin qui, amen: mal comune mezzo gaudio, si dirà.
Più avanti è scritto: «L’Italia ospita regioni con la più singificativa riduzione di emissioni di Co2 nell’Ue (-68%) e allo stesso tempo altre regioni che hanno registrato tra gli incrementi più elevati (+36% in Basilicata)». Ed eccoci arrivati al punto, alla notizia che ci riguarda: la Basilicata ha la maglia nera italiana nella variazione delle emissioni di gas a affetto serra (tC02 equivalenti) pro capite degli ultimi undici anni. Tutto chiaro? Sì: bisognerebbe rivedere gli affari fossili. Certo, sul banco degli imputati salgono no solo le industrie che trivellano suolo o che si reggono sui combustibili tradizionali.
«La capacità di ridurre efficacemente le emissioni di gas serra dipende da molti fattori - è sempre il documento ufficiale Ue che parla - come l’efficienza energetica degli impianti di produzione e degli edfici, l’uso di energie rinnovabili, l’uso del suolo, il clima e la geografia, nonchè il livello e la composizione dell’attività economica». Vale la pena sottolineare che si parla di «uso del suolo» e di «composizione dell’attività economica».
Il documento è stato redatto per aiutare a capire dove e come accelerare un’economia senza emissioni di carbonio. E in un paragrafo finale disegna scenari che inquietano: «Le sfide legate alla transizione verde dipendono quindi molto dal contesto locale ed è probabile che alcune regioni siano più colpite di altre». Sì, «colpite». Ed è ragionevole pensare che con la maglia nera del +36% per cento, tra le regioni più colpite ci sia anche la fetta italiana che corrisponde alla Basilicata. In che cosa consista l’effetto di questa mannaia è chiaro: piomberà in misura maggiore la quota del fondo Just Transition Fund (Jtf), il fondo che mira ad alleviare i costi socioeconomici della transizione nelle regioni che «dipendono ancora in larga misura dalle attività minerarie ed estrattive». C’è da essere contenti? Mica tanto, perché se arriva la pioggia di fondi Ue (Jtf, in questo caso) sarà la prova provata che siamo lontani anni luce dalla decarbonizzazione.
Il fronte ecologista è gia insorto. Si chiede Giovanna Bellizzi, di «Mediterraneo No Triv»: «La nostra preoccupazione è piuttosto che incidere sugli impianti industriali impattanti, a pagare saranno i cittadini e le loro proprietà immobiliari». Il rischio, per Bellizzi, si chiama «green pass energetico o climatico sugli immobili», una sorta di misura che peserebbe sui residenti. Restano da chiarire anche altri punti: «A cosa si riferisce il dato “composizione dell’attività ecnomica”? E perché tra le cause viene indicato il “contesto locale”?. E cosa implica lo scenario per cui alcune regioni probabilmente saranno colpite più di altre? Tutte domande che Meditterraneo No Triva gira alla Regione e all’assessore all’Ambiente».
«Prima che qualcuno dia la colpa di quel +36% alla mucca podolica o al cinghiale selvaggio del Pollino, non ci risulta che la Basilicata vanti allevamenti intensivi come Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna», sottolinea una nota di «No scorie Trisaia». E giù dritti al punto: «in Basilicata a differenza di altre regioni, troviamo centinaia di pozzi di petrolio e gas attivi e dismessi, chilometri e chilometri di oleodotti e gasdotti, centri olio, impianti energetici legati al gas, al petrolio, decine e decine di stazioni di distribuzione del metano, come confermano i dati dell’Unmig».