I tentacoli della mafia sì, ma anche il sonno della burocrazia. Con le bonifiche che arrivano dopo decenni. Oppure mai. Come nei casi eclatanti della ex Materit in Val Basento (unico sito in Italia mai ripulito dall’amianto), e della ex Daramic di Tito (chiusa nel 2009, continua a inquinare). E ancora, il malvezzo delle imprese piccole e grandi di “dimenticare” le leggi di tutela ambientale, dalla bonifica delle cave al petrolgate. È questo il quadro di una Basilicata ricchissima di biodiversità ma assediata su molti fronti di inquinamento. Su questi temi riflettori accesi ieri mattina a Potenza, nel corso della presentazione del rapporto Ecomafie 2022 di Legambiente, che si è tenuta ieri mattina allo ScambioLogico di piazzale Istria, a Potenza.
«Abbiamo fortemente voluto questa giornata - ha spiegato il presidente di Legambiente Basilicata Antonio Lanorte - dopo qualche mese dall’uscita del rapporto 2022 e prima della pubblicazione del rapporto 2023 per tracciare una fotografia dello scenario lucano. Facendo un raffronto tra i rapporti degli ultimi anni vediamo che la Basilicata naviga tra il tredicesimo e il quattordicesimo posto su venti regioni per numero di reati ambientali, ma la situazione diventa più preoccupante se raffrontiamo il dato alla popolazione. I lucani incidono per l’1% sulla popolazione italiana, ma i reati ambientali incidono per 3. Il 5 se consideriamo gli illeciti amministrativi. Da un lato questo significa che i controlli sono superiori rispetto alle altre regioni. Dall’altro, che i controlli stessi devono essere ancora più stringenti soprattutto in un periodo come questo, dove i flussi finanziari del Pnrr sulla transizione ecologica potrebbero attirare gli interessi della criminalità».
Bisogna accettare il fatto, ammonisce Legambiente, che che la criminalità organizzata, pur non avendo in Basilicata la forza e i mezzi che ha nelle regioni contermini, non può certo dirsi assente. In più c’è il fenomeno abbastanza peculiare dei delitti di impresa. «Coinvolgono - spiega Lanorte - piccola media e grande impresa. Dal caso dell’operazione “Allattamento a Matera” dove emergerebbe una realtà singolare per la quale l’imprenditore stesso scrive il bando di gara, alla recente inchiesta sulle cave in Basilicata, fino al Petrolgate 1, dove Eni è stata condannata in primo grado ed è tutt’ora a processo per gli sversamenti di petrolio in Val d’Agri. L’obiettivo è di procurarsi guadagni illeciti o risparmiare i costi impresa evitando, ad esempio, le bonifiche».
Un limbo in cui rimangono, ha denunciato Legambiente perfino i due siti inquinati di interesse nazionale di Tito e della Valbasento con i casi limite di Daramic e Materit. Una eterna stasi che inevitabilmente «genera nuovi appetiti nella criminalità organizzata». Per non parlare delle aree industriali ricche di capannoni abbandonati dove «per quattro volte negli ultimi mesi sono stati ritrovati rifiuti abbandonati».
C’è poi il ciclo del cemento. «In Basilicata -dice il presidente di Legambiente - tre edifici su quattro con ingiunzione non vengono demoliti. Ma oggi gli illeciti e l’abusivismo riguardano soprattutto le varianti. La cementificazione non risparmia le aree naturalistiche di pregio, ad esempio il reparto biodiversità dei carabinieri a Metaponto ha condotto una indagine approfondita su abusi edilizi in aree Sic dalla quale sono emerse anche alcune violazioni importanti».
Infine, due piaghe che non passano mai di moda: gli incendi boschivi, dove la Basilicata si colloca sempre tra il quinto e il settimo posto in Italia, e il lavoro nero nel settore agroalimentare, dove la Basilicata è quinta in Italia con il 35 per cento di lavoratori irregolari.