BARI - La protesta nel Cpr di Palese, il centro di permanenza per il rimpatrio, messa in scena da un gruppo di migranti, è costata a tre di loro l’arresto in flagranza, quarantotto ore in cella e ieri il processo per direttissima. I tre, un algerino 51enne, un tunisino 19enne e un colombiano di 21 anni, tutti incensurati, hanno patteggiato 6 mesi di reclusione (pena sospesa). Davanti al giudice, che ha riqualificato l’accusa nei loro confronti derubricandola da organizzatori a partecipi della rivolta, hanno raccontato le ragioni di quella protesta, a tratti violenta. Hanno spiegato che da settimane vivevano in pessime condizioni igieniche e sanitarie, costretti a dormire tra sporcizia e a mangiare cibo scadente. «Abbiamo protestato in maniera pacifica per giorni, facendo anche lo sciopero della fame, ma nessuno ci ha ascoltati. E così lunedì abbiamo deciso di fare qualcosa di più eclatante» hanno detto in estrema sintesi al giudice Mario Matromatteo. Dopo aver convalidato gli arresti eseguiti in flagranza e aver ratificato i patteggiamenti, il giudice ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura per verificare le condizioni del centro sulla base delle testimonianze dei tre arrestati.
LA PROTESTA Da giorni i migranti chiedevano condizioni più dignitose e già sabato scorso, alcune delle persone trattenute nella struttura, di diverse età e nazionalità, hanno dato vita ad una protesta più energica, salendo anche sui tetti in segno di rivolta.
La tensione è salita fino a quando lunedì mattina, di nuovo sui tetti, i tre e un gruppo di altri migranti, hanno iniziato anche a provocare danneggiamenti alla struttura: è stato dato fuoco alla spazzatura e ad alcune suppellettili, rotte porte e distrutti i condizionatori, arrivando ad ostacolare lo svolgimento delle udienze. Alcuni degli ospiti avrebbero anche messo in atto gesti autolesionistici, qualcuno avrebbe ingerito detersivi e anche oggetti taglienti.
Ai tre arrestati in flagranza, in particolare, era contestato di aver «promosso, organizzato e diretto» la rivolta «con atti di violenza e minaccia» consistiti dell’arrampicarsi sulle finestre con le grate di uno dei moduli e nel «provocarne la completa distruzione con calci e pugni». Uno di loro, dopo essere salito sul tetto armato di una sbarra metallica, avrebbe danneggiato i motori esterni dei condizionatori posizionati sull’ingresso principale in corrispondenza agli uffici dell’ente gestore del coordinatore della Polizia di Stato.
L’ARRESTO E IL PROCESSO I tre sono stati arrestati in flagranza e portati in carcere. Due giorni dopo, assistiti dagli avvocati Loredana Liso e Uliana Gazidede, sono comparsi davanti al giudice per la direttissima. Hanno preso la parola, ammettendo i danneggiamenti e i disordini, ma spiegando di non aver organizzato la rivolta, se non di avervi preso parte (del resto dalle foto si vede che sui tetti c’erano più di tre persone). E poi hanno spiegato la ragioni della protesta: hanno descritto gli ambienti pieni di blatte e scarafaggi, la carenza di assistenza sanitaria, l’impossibilità di comunicare con le proprie famiglie, «condizioni invivibili da settimane - hanno detto - Portateci in carcere, ma no di nuovo in quell’inferno». Il giudice li ha ascoltati e poi ha condiviso, con il consenso della Procura, la proposta di patteggiamento a 6 mesi di reclusione con pena sospesa, riconoscendo loro il ruolo di partecipi (e non più di organizzatori) della protesta.
Non solo. Ha disposto che il verbale dell’udienza con le loro dichiarazioni venga trasmesso in Procura per verificare le condizioni della struttura e accertare eventuali responsabilità legate alla eventuale cattiva gestione del centro.