BARI - «Giacomo Olivieri ha ammesso di aver dato soldi e denaro per trovare voti a favore della moglie, ma non c’è stato nessun accordo con i clan baresi». È con questa tesi che la difesa dell’ex consigliere regionale, arrestato il 24 febbraio 2024 nell’ambito dell’indagine Codice Interno, prova a ridimensionare il quadro accusatorio: non mafia ma una meno grave ipotesi di corruzione elettorale, che porta con sé pene meno gravi rispetto ai dieci anni invocati dalla Dda di Bari.
Gli avvocati Gaetano e Luca Castellaneta hanno parlato per circa quattro ore davanti al gup Giuseppe De Salvatore, sviluppando tutti gli argomenti che riguardano l’accusa nei confronti di Olivieri. All’ex esponente politico viene contestato l’accordo con i clan Parisi, Strisciuglio e Montani in occasione delle elezioni comunali 2019 quando la moglie Maria Carmen Lorusso era candidata nel centrodestra. Secondo la difesa Olivieri avrebbe sì offerto denaro e regali per procacciare voti, ma lo avrebbe fatto sfruttando relazioni sviluppate nel corso della sua attività politica che nulla avrebbero a che fare con la criminalità organizzata. Lo proverebbe il fatto che i voti ottenuti dalla Lorusso nel quartiere Japigia, al netto di quelli riconducibili a un medico di base, sarebbero stati meno di 30: un ipotetico accordo con il clan Parisi si sarebbe dunque risolto in una manciata di preferenze.
Per quanto riguarda l’altra accusa, la presunta estorsione nei confronti della Banca Popolare di Bari che Olivieri avrebbe minacciato di «ritorsioni» se non avesse bloccato una procedura esecutiva nei suoi confronti, secondo la difesa già dagli atti di indagine emergerebbe l’esistenza di «un perfetto accordo» tra Olivieri e l’allora presidente, il professor Gianvito Giannelli in merito alla possibilità - prevista dai regolamenti della banca - che la Fondazione Maria Rossi, azionista della Popolare - potesse compensare il proprio credito con le azioni possedute dalla Fondazione e con il ricavato della vendita degli immobili. «Fu lo stesso presidente a dire a Olivieri “tu scrivimi maleparole” per instaurare la trattativa», ha detto la difesa escludendo che Olivieri avesse «un dossier» per screditare la banca: «Si trattava semplicemente delle richieste avanzate dagli azionisti, tra cui lo stesso Olivieri, che si ritenevano truffati».
La difesa ha dunque concluso chiedendo la riqualificazione dell’accusa di voto di scambio in corruzione elettorale e la concessione delle generiche, e l’assoluzione dall’accusa di estorsione. La sentenza però slitterà a dopo l’estate: dopo le udienze di maggio, il gup ha fissato per le repliche altre tre date a settembre. La decisione dovrebbe dunque arrivare il 26 settembre, in piena campagna elettorale per le Regionali.