BARI - Soffriva di una patologia cronica al fegato ma ad ucciderla fu un infarto mentre era in ambulanza, durante il trasferimento dall’ospedale di Putignano a quello di Monopoli. Il marito e la figlia di una donna di Castellana Grotte hanno chiesto alla Asl un risarcimento danni di 500mila euro, ritenendo l’azienda sanitaria responsabile del decesso per ritardo nelle cure. Ma a quasi dieci anni dalla vicenda, il Tribunale civile di Bari ha rigettato il ricorso, spiegando che quell’infarto non era prevedibile e condannando anche i parenti della signora a pagare alla Asl (difesa dall’avvocato Gaetano Caputo) le spese legali, pari a oltre 14mila euro.
LA CAUSA SUL DECESSO - La vicenda inizia il 12 giugno 2016. La donna, affetta da cirrosi biliare primitiva e tornata a casa da qualche settimana dopo un ricovero di 15 giorni, viene colta da malore. Il sintomo è «difficoltà respiratorie». I familiari chiamano immediatamente il 118 e ne sollecitano di nuovo l’intervento dopo dieci minuti. Quando l’ambulanza arriva a bordo non c’è il medico, ma solo autista, infermiere e soccorritore. La paziente viene così portata al Pronto soccorso dell’ospedale «Santa Maria degli Angeli» di Putignano in codice giallo. Dopo 55 minuti, con i parametri di pressione, saturazione e frequenza cardiaca nella norma, ne viene disposto il trasferimento perché lo strumento radiologico nella struttura di Putignano è «in avaria». Allora le viene attribuito un «codice verde» e viene portata in ambulanza al «San Giacomo» di Monopoli. Durante il tragitto, venti minuti dopo la partenza, «si manifestano gravi complicazioni cardiocircolatorie». I parametri vitali iniziano a scendere e quando la donna arriva a Monopoli, direttamente in rianimazione, è ormai in codice rosso per arresto cardiaco. Dopo venti minuti di manovre rianimatorie vane, ne viene dichiarato il decesso...