BARI - «Ho creduto che mio marito fosse morto. Ferma sulle scale, bloccata dai vicini che mi hanno impedito di vederlo mentre respirava appena, riverso in una pozza di sangue, udivo solo le imprecazioni del suo aggressore. Gli ho sentito dire “Io te lo avevo detto che ti avrei ammazzato” ma Michele non rispondeva, non riuscivo a sentire la sua voce. Sono stati momenti terribili». A parlare, con la voce che tradisce tutto l’orrore e la paura vissuti è Simona Campagna, la moglie di Michele Esposito. Ha appena saputo che il marito accoltellato più e più volte, è fuori pericolo. «Stiamo tirando un sospiro di sollievo ma i medici raccomandano prudenza. - prosegue nel suo racconto - Andiamo avanti passo dopo passo. Sono ancora dentro questo incubo. Di solito io e mia figlia aspettiamo affacciati alla finestra che Michele rincasi dal suo giro serale con Oki, il nostro cane è un modo di stare vicini, di proteggerci, di vigilare l’uno sull’altro. Mercoledì sera, dopo le 10.30 siamo andati a letto un po’ prima, io e mia figlia eravamo molto stanche. Ero ancora sveglia quando ho sentito il tumulto, le grida venire dalle scale. Ho pensato subito a Michele. Sono uscita di corsa e ho raggiunto i vicini ai piani superiori. Mi hanno fermato, implorandomi di non andare oltre e che Michele era stato aggredito. Ho visto arrivare i carabinieri e gli ho implorati di fare presto. Mi hanno attraversato la mente mille pensieri. Ero terrorizza - prosegue - e la paura che mio marito fosse morto mi ha paralizzato. Ho pregato, implorato la signora che vive al quinto piano e che aveva visto, di dirmi se Michele fosse ancora vivo. Lei non è riuscita a spiccicare parola tanto era impressionata»
Dopo i carabinieri, arrivato i soccorritori del 118 che trasportano Michele Esposito in strada. «Mentre caricavano la barella sull’ambulanza ho stretto la mano di mio marito, lui l’ha stretta con la poca forza che aveva poi ha cercata di darle un morsetto quasi volesse scherzare, per tranquillizzarmi. Poi ha perso conoscenza. Sono stata dietro la porta della Rianimazione nella febbrile attesa di buone notizie. Ieri è stato estubato e le sue condizioni vanno gradualmente migliorando»
Una tragedia annunciata. Il pensionato Giuseppe Manica ha perseguitato per anni l’inquilino del terzo piano Michele Esposito, che in quella palazzina di via Che Guevara, vive da sempre, sin bambino con i suoi genitori, poi deceduti in un drammatico incidente stradale. In macchina c’era anche Michele che è riuscito a sopravvivere per miracolo e che da quel momento il condominio ha praticamente adottato. Quelli che lo conoscono da bambino e che abitano ancora lì lo considerano uno di famiglia.
Brillante, gentile, educato, allegro, con un consiglio e una buona parola per tutti. I più sconvolti da questa vicenda, oltre la moglie e la figlia che hanno vissuto con terrore, momento dopo momento, l’accaduto, sono proprio i suoi vicini di casa che non riescono a capacitarsi. Alcuni hanno visto, altri hanno sentito, tutti sono sconvolti.
«Questo incubo - spiega Simona Campagna - è cominciato da quando quell’uomo, 13 anni orsono dopo una riunione di condominio convocata per la nomina di un nuovo amministratore di condominio, terminata con un esito a lui non gradito, inspiegabilmente, ha creduto di individuare nel mio Michele e poi in noi, i nemici da abbattere ed è stato un crescendo di minacce, aggressioni verbali e fisiche, addirittura un tentativo di investimento. Una volta ha sputato in faccia a mio marito alla presenza di mia figlia piccola. Non abbiamo mai reagito. Ma ci siamo sentiti costantemente in pericolo»
Manica ha evidentemente covava da anni anni l’odio più profondo per il vicino che ha ripetutamente minacciato e aggredito, prima a parole, poi fisicamente venendo processato e condannato due volte (pena sospesa). Un terzo procedimento per stalking è ancora pendente. Da tempo è stato emesso nei suoi confronti un preciso divieto di avvicinare la vittima, sua moglie e la figlia, anche loro ripetutamente minacciate.
Da quei verdetti di condanna, emerge una spirale di comportamenti violenti, umiliazioni, biglietti minatori, minacce pesanti («Sei un morto che cammina», «Ti taglio la testa», «Ti faccio fare la fine dei tuoi genitori») e aggressioni fisiche. L’uomo ha poi spostato il mirino sulla moglie e sulla figlia di Michele Esposito, fino al drammatico epilogo.
Resta in carcere l'indagato, fuori pericolo la vittima
BARI - Resta in carcere Giuseppe Manica, l’uomo di 70 anni, di Avellino, che mercoledì sera, in un condominio di via Che Guerava a Poggiofranco, ha accoltellato un suo coinquilino, Michele Esposito di 51 anni, già giornalista e oggi consulente finanziario, che stava rincasando dopo aver portato a passeggio il cane. Ieri, davanti al gip Alfredo Ferraro, si è tenuta l’udienza di convalida dell’arresto nei confronti di Manica, accusato di tentato omicidio premeditato. Il giudice ha ratificato la misura restrittiva, eseguita dai carabinieri in flagranza di reato e, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Giovanni Calamita, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Non è stata accolta l’istanza avanzata dal difensore dell’indagato, l’avvocato Elio Addante, di destinare Manica agli arresti arresti domiciliari in una località diversa da quella dove si sono svolti i fatti.
Esposito è stato aggredito mentre si trovava in ascensore. In base alla prima ricostruzione elaborata dai carabinieri, Manica si sarebbe appostato sul pianerottolo del terzo piano dove vive la vittima, impugnando un grosso coltello da cucina. Quando le porte dell’ascensore si sono aperte, l’uomo pare abbia inferto la prima coltellata, spingendo il vicino nella cabina e portandolo al quinto piano, il suo territorio.
Colto di sorpresa, il cinquantunenne ha cercato di proteggersi ma l’accoltellatore non ha avuto nessuna pietà, continuando a colpirlo al volto, alla gola, in preda a un’ira cieca. Uno dei fendenti (come dimostrano le ferite) ha quasi raggiunto la giugulare.
Raggiunto il piano Michele Esposito è riuscito a trascinarsi fuori dall’ascensore, subito dopo è crollato a peso morto, quasi privo di sensi, mentre il suo aggressore continuava ad infierire sotto gli occhi terrorizzati di una inquilina ferma sulla soglia della propria abitazione, che gli ha urlato «ma cosa stati facendo, Giuseppe, fermati». Due fratelli di 24 e 27 anni che vivono con la loro famiglia al prima piano, udite le urla di dolore e le invettive e imprecazioni di Manica hanno raggiunto rapidamente il quinto piano e fermato la mattanza. Nonostante l’accoltellato fosse per terra completamente inerte, a quanto pare il 70enne continuava ad infierire. Prima che giungessero sul posto i carabinieri del Nucleo radiomobile, chiamati dagli altri inquilini, si è liberato del coltello lasciandolo scivolare nella tromba dell’ascensore dove è stato poi recuperato. Le pareti della cabina colavano sangue.
Sempre stando alla ricostruzione degli investigatori Manica, ancora furente ma immobilizzato da uno due ragazzi, guardando davanti a lui il vicino quasi privo di conoscenza riverso in una pozza di sangue, che raccogliendo le forze residue lo indicava ai carabinieri con il braccio teso, ha detto sprezzante «Sono stato io... spero che muore». Una scena agghiacciante.
Ai soccorritori del 118 giunti di lì a pochi minuti, le funzioni vitali del ferito sono risultate gravemente alterate. Pochi minuti per stabilizzarlo e sono ripartiti a sirene spiegate verso il Policlinico dove il 51enne, dopo aver trascorso le prima 48 ore in un lettino della Rianimazione, ieri sera è stato trasferito in altro reparto. I medici hanno registrato miglioramenti graduali nelle sue condizioni e pur mantenente un atteggiamento di prudenza lo considerano fuori pericolo di vita.
I carabinieri hanno raccolto le testimonianze degli inquilini dello stabile a partire da coloro che hanno assistito all’accoltellamento. La moglie dell’arrestato si sarebbe mostrata collaborativa mostrando dove si trovava il coltello da cucina prelevato dal marito. Giuseppe Manica avrebbe agito in maniera premedita e il fatto che ha bloccato la vittima nell’ascensore portandola fino al quinto piano, induce ad ipotizzare che volesse escludere l’intervento degli altri condomini, non voleva essere fermato.