BARI - La Corte di Appello di Bari (presidente Francesca La Malfa) ha confermato la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per l’ex direttore generale della Asl di Bari Domenico Colasanto, imputato nel processo stralcio sulla morte di Paola Labriola, la psichiatra barese uccisa il 4 settembre 2013 nel Centro di salute mentale di via Tenente Casale da un paziente tossicodipendente con 57 coltellate. Colasanto risponde di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e omissione di atti d’ufficio. Le sue negligenze, cioè, avrebbero contribuito a causa il decesso della dottoressa, non garantendo la sicurezza della struttura dove la psichiatra lavorava.
Nel processo erano imputati anche l’ex funzionario Alberto Gallo e l’ex segretario di Colasanto, Antonio Ciocia. Per Gallo, difeso dagli avvocati Angelo Loizzi e Roberto Eustachio Sisto (Studio FPS) imputato per aver redatto il falso Documento di valutazione dei rischi della struttura, compilato dopo l’omicidio e retrodatato «per coprire le sue mancanze» e «sviare le indagini» (condannato in primo grado a tre anni di reclusione), i giudici hanno dichiarato la prescrizione (dalle altre accuse di falso e induzione indebita era già stato assolto in primo grado); per Ciocia, accusato di induzione indebita a dare o promettere utilità, è stata confermata l’assoluzione del primo grado (con la diversa formula “il fatto non sussiste”).
La Corte ha anche confermato la condanna per Colasanto a risarcire la famiglia della vittima, costituita parte civile con gli avvocati Paola Avitabile e Michele Laforgia, in solido con la Asl (responsabile civile nel processo).
"Una condanna penale per omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro è sempre una sconfitta - dichiarano gli avvocati della famiglia -. Certifica che una persona è morta, nel nostro caso non solo per mano di chi ha trucidato Paola Labriola con 58 coltellate, nell’ormai lontano settembre del 2013, ma anche per colpa di chi avrebbe dovuto tutelarne la sicurezza e l’incolumità. Una vittima del lavoro, come tante e tanti, ancora oggi, nel nostro Paese. Speriamo che non accada più, e speriamo anche che questa condanna sia di monito e insegnamento per tutti".