GRAVINA- A quasi 11 anni dall’omicidio di Pietro Capone, il 49enne di Gravina in Puglia, conosciuto in paese come il «paladino della legalità» per le sue battaglie contro l’abusivismo edilizio, i giudici hanno annullato la condanna nei confronti di quello che secondo l’accusa sarebbe il suo assassino, l’imprenditore 73enne Gaetano Scalese. Sulla vicenda, quindi, sarà celebrato un processo d’appello bis dopo che la Cassazione ha accolto il ricorso della difesa di Scalese, gli avvocati Andrea Di Comite e Valerio Spigarelli, annullando con rinvio la sentenza con la quale i giudici baresi avevano inflitto all’imputato 15 anni e 4 mesi reclusione.
Stando alla ricostruzione accusatoria, Scalese avrebbe ucciso Capone con due colpi di pistola a bruciapelo, la sera del 10 marzo del 2014. La vittima - hanno ricostruito le indagini della Polizia - aveva fatto decine di denunce contro pubblici amministratori e anche contro diversi imprenditori, che gli erano costate diverse denunce. Ne aveva fatta qualcuna anche nei confronti di Scalese, che secondo Capone aveva costruito un edificio sconfinante sulla sua proprietà. Dalle testimonianze raccolte durante le indagini è emerso che già tre anni prima dell’omicidio l’imprenditore aveva detto che «gliel’avrebbe fatta pagare». La vicenda, che di fatto aveva bloccato l’attività edilizia di Scalese, sarebbe approdata a processo il 5 maggio 2014, quasi due mesi dopo l’omicidio. A indirizzare sin da subito le indagini sull’imprenditore imputato, erano state queste vicende giudiziarie ma anche le immagini delle telecamere di videosorveglianza che avevano ripreso l’auto usata dal killer, una Fiat Punto che secondo l’accusa era di proprietà di Scalese. È stato così ricostruito che l’assassino, individuata la vittima mentre rincasava, l’avrebbe seguita in auto per le strade semi-deserte di Gravina, colpendola a morte pochi metri prima che raggiungesse la sua abitazione con un colpo alla nuca e uno quando era già per terra. Le immagini delle telecamere di alcuni negozi lungo la strada mostravano l’auto, non immortalando direttamente la scena del delitto e individuando i due minuti nei quali Capone sarebbe stato ammazzato. Nei tre anni di indagini sono state raccolte consulenze tecniche sull’auto, sui video, sui tempi di percorrenza a piedi dei vicoli dove è avvenuto l’omicidio. Scalese è finito in cella nel giugno 2019, più di cinque anni dopo il delitto ed è tuttora detenuto.
Nel ricorso in Cassazione i difensori dell’imputato hanno evidenziato una serie di questioni processuali, tra cui anche il travisamento della prova, la mancata assunzione di prove ritenute decisive, la inutilizzabilità delle videoriprese e la ricostruzione della dinamica del fatto sulla base delle immagini sopratutto con riferimento agli orari e alla cronologia degli eventi. Nelle prossime settimane la Suprema Corte depositerà le motivazioni, spiegando quali motivi del ricorso della difesa abbia condiviso, e allora si tornerà in appello per un nuovo verdetto.