La nuova «camorra» barese parla hausa, yoruba e igbo, le lingue regionali nigeriane. Multietnica, con buoni rapporti internazionali, un potente background che la lega alla terra di origine e una camaleontica capacità di mimetizzarsi, la mafia barese 2.0, nella sua più recente e aggiornata versione, parla stra
niero. La globalizzazione della malavita segue le stesse rotte dei flussi migratori. Anche le attività criminali, non soltanto terroristiche o in associazione mafiosa, si sono estese in network internazionali a caccia di profitti e potere, sbarcando e mettendo radici a Bari e in provincia. La mafia straniera non è solo una stratificazione di associazioni a delinquere che parlano idiomi diversi e che fabbricano delitti, ma un soggetto economico e politico.
Con l’inchiesta «Short Nica», espressione utilizzata dai membri del gruppo per indicare i «pantaloncini», (ossia la quantità di sostanza stupefacente solitamente ceduta agli spacciatori, pari a mezzo chilo), gli investigatori della Squadra Mobile, guidati dal primo dirigente Filippo Portoghese, hanno portato a galla una rete di spaccio e di vendita all’ingrosso di marijuana (ma anche pasticche di tramadol, un oppioide usato da alcuni membri dell’organizzazione) sotto il controllo di un clan composto da nigeriani e gambiani alcuni dei quali aderenti alla confraternita nigeriana di matrice cultista dei «Black Axe-Ayè». Otto sono finiti in carcere (o agli arresti domiciliari). Diciotto in totale gli indagati, tra questi ci sono anche due italiani. L’accusa è quella di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Le indagini coordinate dai pm Antimafia Daniela Chimienti e Federico Perrone Capano si riferiscono ad un periodo compreso tra il 2019 e il 2020. Il gruppo si riforniva sfruttando la rete di contatti all’interno della comunità nigeriani in Italia e all’estero. Al vertice ci sarebbero stati i coniugi nigertiani Ifieanyi John Ezeiru e la moglie Becky Oluchi Okoye: lui gestiva il traffico, tenendo i rapporti con fornitori e i clienti, lei la cassa e lo stoccaggio della droga, che avveniva in casa di un altro sodale. Il cuore dell’organizzazione era il quartiere Libertà il luogo dove avveniva lo spaccio piazza Umberto e il Murattiano.
Oltre alle intercettazioni, l’inchiesta si è avvalsa di attività di pedinamento e delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia nigeriano, lo stesso che aveva rivelato gli abusi e i traffici dei suoi connazionali all’interno del Cara di Palese.
Le confraternite nigeriane più potenti sono quattro Black Axe, Eiye, Viking e Mefite, quattro grandi cosche conosciute anche come Cult. A queste si aggiunge una rete di piccoli gruppi che insieme disegnano una delle strutture criminali più pericolose al mondo. Per la Procura nazionale antimafia in Italia opera sempre e solo «in subappalto rispetto alle organizzazioni criminali nostrane».
Il Cult ha messo radici anche a Bari. Le cosche nere gestiscono posizioni di potere in città come Torino, Verona, Bologna, Roma, Napoli, Palermo, Caserta e appunto Bari. Le confraternite svolgono una funzione di aggregatore sociale non solo per chi il battesimo lo ha ricevuto in terra d'Africa ma anche per quei ragazzi nigeriani che una volta giunti nel «nuovo mondo», vagano senza meta, alla ricerca di una loro collocazione. A volte il primo germoglio criminale nasce proprio nei centri di accoglienza dove gli arruolamenti per certi aspetti sono più facili.