BARI - Cinque condanne a pene comprese tra i 18 mesi e i 4 anni di reclusione e due assoluzioni: si chiude così il processo di primo grado nei confronti dei presunti autori della spedizione punitiva pianificata per vendicare il tradimento di un pusher che si era rifornito di droga da un narcotrafficante esterno al clan e aveva poi spacciato nel territorio controllato dall’organizzazione mafiosa degli Strisciuglio. A Comune e Regione, costituiti parti civili nel processo celebrato con rito abbreviato, il gup Nicola Bonante ha riconosciuto il risarcimento dei danni con provvisionali immediatamente esecutive di 5mila euro per ciascun ente.
La vicenda risale al 2022 e nasce da un tentato agguato, nella tarda serata del 26 dicembre a Santo Spirito, sfumato perché il commando armato fu messo in fuga dai carabinieri. Quella sera uno dei presunti aggressori, il 40enne Aldo Brandi, fu fermato con una pistola. Due giorni dopo, sul lungomare Cristoforo Colombo di fronte al bar «Ghiaccio bollente», l’agguato andò a buon fine. In quattro, identificati in Brandi, Emanuele Lacalamita, 24 anni, Saverio Petriconi, 23 anni, e Giuseppe Sebastiano di 26 anni, «agendo con metodologia mafiosa», avrebbero sorpreso in strada la vittima e «ritenendolo meritevole di una punizione esemplare per aver acquistato stupefacente da spacciare da fornitori diversi» da quelli di riferimento del clan, lo avrebbero «percosso selvaggiamente» causandogli la lussazione delle vertebre lombari, fratture e un trauma cranico. Brandi, che ha poi collaborato con gli inquirenti, è stato condannato a 4 anni di reclusione, Lacalamita e Sebastiano a 3 anni e 2 mesi; Petriconi a 3 anni, con riconoscimento anche dell’aggravante mafiosa.
Oltre a identificare gli autori del violento pestaggio, i carabinieri - coordinati dal pm della Dda Marco D’Agostino - avrebbero poi fatto luce anche su altri episodi, tra i quali richieste estorsive ai danni dello stesso pusher e della sua famiglia da parte del medesimo gruppo criminale autore del pestaggio, per voce - questa volta - delle donne del clan, identificate in Marialessia Tamma, moglie di Brandi e Luana Moretti, moglie di un altro affiliato non coinvolto in questa storia: entrambe sono state assolte «per non aver commesso il fatto» (per loro l’accusa aveva chiesto la condanna a 6 anni).
Dopo l’aggressione, poi, il clan avrebbe deciso di formulare, ai danni della famiglia del pusher infedele, una ulteriore richiesta estorsiva di 20mila euro. Richiesta estesa anche ad un altro spacciatore del clan, il quale con la moglie Lucia Cassano (condannata a 1 anno e 6 mesi con pena sospesa), avrebbero preteso dalla famiglia del pusher il «risarcimento di quanto pagato, con la minaccia di ritorsioni ai danni delle figlie».