BARI - Due giovani rampolli di due delle principali famiglie criminali di Bari, Eugenio Palermiti junior e Savino Parisi junior, sono stati arrestati dai carabinieri per detenzione e porto abusivo di armi nell'ambito delle indagini sull'omicidio di Antonia Lopez, 19 anni, uccisa per errore con un colpo di pistola nella discoteca 'Bahia Beach' di Molfetta, nella notte del 22 settembre scorso durante una lite tra due gruppi di giovani. Nei loro confronti i carabinieri della Compagnia della città costiera hanno eseguito una misura di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Bari su richiesta della Procura della Repubblica-Direzione Distrettuale Antimafia.
I reati, aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa, si riferiscono sia a quella serata, quando Palermiti, amico della vittima, secondo quanto accertato dall'inchiesta, sarebbe entrato armato nel locale, sia a un episodio avvenuto diversi prima, in un'altra discoteca molto nota del litorale adriatico, il Divinae Folliae di Bisceglie. Anche in quella occasione Palermiti junior, ritengono gli investigatori, era armato. Ad aiutarlo l'amico Savino Parisi junior. In quella occasione i due sarebbero riusciti a nascondere l'arma, grazie alla compiacenza di alcuni buttafuori ed avrebbero così eluso un controllo delle forze di polizia.
PROCURA: I CLAN SI AFFRONTANO NEI LOCALI
«L'abitudine delle giovani leve, rampolli dei clan, ad andare armati in discoteca, è un’abitudine che si sta quasi normalizzando, come l’uso della droga e della violenza in generale. Le discoteche sono diventate luoghi di ritrovo dei rampolli che, armati, si affrontano per dimostrare a tutti chi comanda, chi è più forte. E questo è il classico atteggiamento mafioso per incutere timore e senso di assoggettamento in tutti». Così il procuratore aggiunto di Bari e coordinatore della Dda, Francesco Giannella, nella conferenza stampa con cui sono stati annunciati gli arresti di Eugenio Palermiti e Savino Parisi, per detenzione e porto abusivo di arma con aggravante mafiosa.
Nel corso della conferenza, Giannella ha ripercorso diversi episodi di scontri tra giovani dai clan nelle discoteche di Bari e provincia dal 2021 al 2024. Tra questi, anche la lite del 29 marzo scorso tra Christian Capriati e un giovane legato al clan Strisciuglio, appena tre giorni prima dell’omicidio di Raffaele Capriati (padre di Christian e nipote del capoclan Antonio). E, ovviamente, anche la sparatoria del 'Bahià di Molfetta del 22 settembre scorso in cui rimase uccisa per errore Antonia Lopez.
«Questo excursus - ha aggiunto Giannella - serve a sollecitare in tutti una riflessione su questo fenomeno. Sollecitiamo anche i gestori dei locali a servirsi di società serie e affidabili (per i servizi di sicurezza, ndr), perché questi fenomeni vanno inquadrati in una serie di evoluzioni della nostra società che stanno sfuggendo di mano».
Come ricostruito dalle indagini, infatti, alcuni dei bodyguard presenti al 'Bahià quella sera non erano a norma e avrebbero avuto «frequentazioni» con persone vicine ai clan.
DA GESTORI LOCALI NESSUNA DENUNCIA
Nel corso della conferenza che si è tenuta oggi in Procura a Bari, il sostituto procuratore della Dda di Bari Federico Perrone Capano - che ha coordinato le indagini sull'omicidio di Antonia Lopez, avvenuto il 22 settembre scorso nella discoteca 'Bahià di Molfetta - ha sottolineato come, nonostante i diversi episodi di scontri tra rampolli dei clan (molti dei quali armati) nei locali, da parte dei gestori non sia arrivata «nessuna denuncia».
Nel leggere un passaggio dell’ordinanza con cui è stato disposto il carcere per Eugenio Palermiti e Savino Parisi, il coordinatore della Dda Francesco Giannella ha sottolineato come sia stata rilevata la complicità degli addetti alla sicurezza nel permettere che certe persone, legate ai clan, entrino armate in discoteca.
Nell’ordinanza il gip evidenzia anche l’allarmante abitudine degli indagati vicini al clan Parisi-Palermiti di presentarsi armati nei locali, diventati luoghi di contesa con i componenti dei gruppi contrapposti. Uno scontro che sarebbe amplificato anche dalla condivisione di video sui social, diventati una vetrina pubblica per mostrare l’appartenenza a un determinato gruppo, con modalità chiaramente evocative dell’appartenenza mafiosa. «Questi comportamenti - ha detto ancora Perrone Capano - rafforzano il potere di intimidazione e assoggettamento della popolazione».