BARI - L’ipotesi è che anche per Bari possa essere applicato il modello-Roma, quello con cui - esattamente dieci anni fa - è stata chiusa l’ispezione per accertare ipotetiche infiltrazioni dei clan nel Comune capitolino dopo l’inchiesta Mafia capitale. Quella disposta nel capoluogo pugliese dopo l’inchiesta Codice Interno si è formalmente chiusa ieri, anche se la relazione non sarebbe ancora stata depositata. Ma è questione di ore.
Nel dicembre 2014 il governo Renzi (ministro Angelino Alfano) dispose l’accesso ispettivo nell’amministrazione della Capitale (guidata da Ignazio Marino, centrosinistra). Ad agosto 2015 Palazzo Chigi decise di commissariare solo il Municipio di Ostia, nominando il prefetto di Roma come tutor sugli atti del Comune. L’ispezione a Bari, partita ad aprile, è durata sei mesi: spetta al prefetto Francesco Russo avanzare (entro 45 giorni) una proposta al ministro dell’Interno, proposta da cui il Viminale può anche discostarsi. Ma nell’iter previsto dalla legge c’è una enorme discrezionalità politica. E lo dimostra proprio quanto accaduto nel caso Roma, in cui fu adottata una soluzione non prevista.
I tre ispettori nominati a Bari (il viceprefetto Antonio Giannelli, l’ex prefetto Claudio Sammartino, il maggiore Giuseppe Stola della Finanza) hanno svolto un lavoro imponente. Sono state circa 30 le audizioni condotte in prefettura, tutte documentate con la stenografia e chiedendo ai «testimoni» di lasciare il telefonino all’ingresso. Sono stati ascoltati l’ex sindaco Antonio Decaro, il suo successore Vito Leccese, il capo di gabinetto Davide Pellegrino, tutti i presidenti delle aziende comunali, numerosi dirigenti comunali (a partire dal capo della Polizia municipale), alcuni funzionari pubblici che a vario titolo hanno avuto un ruolo nei fatti contestati all’interno dell’inchiesta della Dda di Bari con riferimento all’Amtab, l’azienda del trasporto pubblico che rimarrà commissariata almeno fino a febbraio 2025 per via della presenza in azienda di alcuni personaggi ritenuti contigui al clan Parisi di Japigia. Gli ispettori si sono confrontati anche con gli inquirenti, da cui hanno acquisito la documentazione relativa alle indagini. Altre migliaia di pagine di documenti sono state chieste e ottenute dal Comune e dalle società controllate, in alcuni casi risalendo nel tempo fino a dieci anni. Acquisite anche le sentenze che riguardano casi di cronaca in cui sono stati coinvolti dipendenti comunali ed esponenti dei clan cittadini.
La relazione degli ispettori conterrà il resoconto dell’ispezione, ma la proposta al Viminale spetta al prefetto sentito il comitato per l’ordine e la sicurezza allargato al procuratore della Repubblica. E comunque la decisione finale verrà presa dal ministro d’intesa con il premier: «Tutte le ipotesi circolate fino a ora sui giornali - spiegano fonti a conoscenza del dossier - sono possibili e allo stesso tempo prive di qualunque tipo di fondamento». Si è parlato ad esempio dell’ipotesi (non prevista dalla legge del 1991, che richiede «elementi certi, univoci e rilevanti» di condizionamento da parte della criminalità organizzata per commissariare un’amministrazione comunale) di disporre il solo commissariamento delle aziende comunali in cui sarebbe stata riscontrata la presenza di persone riconducibili alla criminalità organizzata. Sul punto il Comune ha sempre sostenuto che le assunzioni sono avvenute osservando la legge. E anche nel caso al centro dell’inchiesta (e poi della polemica politica), quello dell’assunzione di Massimo Parisi, fratello del boss Savinuccio, il Comune ha valorizzato l’esistenza di due denunce presentate nel 2011 alla Procura (entrambe archiviate) e di una sentenza del Tribunale del Lavoro favorevole all’assunzione del dipendente, che era ed è tutt’ora incensurato.