BARI - «È pressoché impossibile negare che tutte le condotte sono state finalizzate ad agevolare il clan e a consolidare l’autentico dominio esercitato dallo stesso sul territorio». Sono le parole con le quali il gup del Tribunale di Bari Giuseppe Battista descrive il contesto mafioso nel quale per anni hanno vissuto alcuni commercianti e imprenditori dei quartieri Palese, Santo Spirito e San Pio, territori sotto il controllo criminale del clan Strisciuglio.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna dei nove presunti aguzzini del titolare di una carrozzeria a Palese, il giudice spiega che «emergono» le figure dei pluripregiudicati Saverio Faccilongo, 36enne detto «Benzina», il boss del quartiere da tempo è detenuto al 41 bis, cioè il regime del carcere duro, e Vito Antonio Catacchio, «elementi di spicco del clan, i quali hanno per anni letteralmente tartassato» l’imprenditore «con richieste di lavori gratis sui loro veicoli e, in una occasione, con la sollecitazione al pensiero in favore di soggetti detenuti».
«Non meno evidente - secondo il gup - è l’esistenza del metodo mafioso. La descrizione della condotta usualmente adoperata dagli strisciugliani del quartiere San Pio, che si presentavano tutti insieme a bordo di vari motocicli, ostentando la disponibilità di armi da fuoco, costituisce la più plastica esternazione della forza intimidatrice del vincolo associativo. La conseguente condizione di assoggettamento è attestata dal fatto che la vittima ha subito per anni le angherie degli imputati, determinandosi a denunciarle soltanto quando le stesse avevano raggiunto un tale livello di pervicacia da diventare non più sostenibile, anche solo da un punto di vista economico».
Al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, il boss Saverio Faccilongo, Giuseppe Caizzi, 54enne detto «Aizz», e Giovanni Sgaramella, 27enne detto «U matt», sono stati condannati a 20 anni di reclusione in continuazione, si tratta cioè di una sorta di somma con precedenti sentenze ormai irrevocabili. Al 32enne Pietro Mercoledisanto, detto «Buy Watch» il gup ha inflitto 6 anni e 4 mesi di reclusione. Il 39enne Vito Antonio Catacchio, soprannominato «Carota», e Giovanni Tritto, 32enne detto «U piccinunn», sono stati condannati a 6 anni di reclusione. Per Tommaso Peschetola, 30enne, condanna a 5 anni; a Raffaele Stella, 22enne e Antonio Tortora, 18enne sono stati inflitti 3 anni e 4 mesi di reclusione.
A conferma del «rango» delinquenziale di Faccilongo e Catacchio «vi è la circostanza - argomenta il giudice - che fu proprio il loro arresto in prossimità del periodo natalizio ad attivare la richiesta di elargizione, veicolata prima da Caizzi (accompagnato da altri due soggetti) quindi, dopo qualche giorno, da Mercoledisanto. Al primo vennero dati mille euro e al secondo duemila, a riprova dell’assoluta insostenibilità delle richieste estorsive attivate nei confronti del titolare di una piccola autocarrozzeria, costretto a versare a ripetizione ai suoi aguzzini somme davvero ingenti.
Significativa è la circostanza che la vittima - evidentemente consapevole delle logiche malavitose benché estraneo ad esse - ricevuta la seconda richiesta avesse tentato di avere “grazia” dal padre di “Benzina”, che aveva tuttavia rinforzato la pretesa estorsiva attivata a vantaggio del figlio. La richiesta del “pensiero” - annota il gup - è il penultimo passo che segna l’acme di un’autentica progressione criminosa: gli imputati non hanno più necessità di simulare una (finta) motivazione connessa all’attività economica svolta dalla vittima, quale le riparazioni malriuscite ai propri mezzi, ma passano alla richiesta di “liberalità” senza alcuna motivazione, che non fosse quella dell’ormai completo assoggettamento della vittima».
Nel processo si è costituita parte civile la Regione Puglia e il Tribunale ha riconosciuto un risarcimento danni ritenendo che «i delitti di cui oggi ci si occupa hanno prodotto un danno alla collettività stanziata sul territorio, che non è solo quello del comune ove gli stessi avvennero, protraendosi addirittura per anni, ma si estende all’intera regione, dato il senso di timore e insicurezza nella popolazione che esso ingenerò. Nella Regione Puglia è da riconoscersi l’ente rappresentativo di tale popolazione, anche in virtù delle azioni e degli interventi volti alla prevenzione e alla lotta alla criminalità promossi sul territorio pugliese».