BARI - Avrebbe maltrattato la moglie durante tutta la vita coniugale e poi anche le due figlie, costrette dall’infanzia ad assistere alle vessazioni sulla madre e, dall’adolescenza, vittime loro stesse del padre. Anni di «minacce, pressioni psicologiche, aggressioni fisiche e verbali» subite dalle tre donne, «annientate dalle vessazioni», tanto da vedersi «costrette» ad allontanarsi da casa, le due figlie per studio e per lavoro, la moglie prima in una comunità per vittime di violenza e infine togliendosi la vita.
Sono stralci delle parole usate dalla giudice Susanna De Felice nelle motivazioni della sentenza con cui a novembre scorso ha condannato alla pena di 7 anni di reclusione, con rito abbreviato, il 57enne Vito Leonardo Passalacqua, il marito da cui si stava separando la 56enne di Santeramo in Colle Michelle Baldassarre, il cui corpo senza vita, trafitto da una lama e carbonizzato, fu trovato il 9 febbraio 2023 in campagna.
Maltrattamenti pluriaggravati sulla moglie e sulle due figlie è il reato del quale Passalacqua è stato ritenuto colpevole. L’indagine dei carabinieri, coordinata dalla pm Silvia Curione, era partita dopo la denuncia della donna, il 21 dicembre 2022, all’indomani dell’ennesima violenta aggressione da parte del marito. Lui quarantotto ore dopo era finito agli arresti domiciliari (è tuttora detenuto) e lei in una comunità, dalla quale era poi uscita 40 giorni dopo, poco prima di togliersi la vita. Anche sulla morte della donna è stata aperta una inchiesta per istigazione al suicidio, finita in archiviazione. È arrivata invece a processo - ormai dopo il decesso della 56enne - quella per i presunti maltrattamenti, che l’uomo ha tentato di sminuire, parlando di «complotto ai suoi danni» e di «congiura familiare». Il racconto della donna, però, e poi anche quelli delle due figlie, di amici e famigliari, hanno convinto Procura e Tribunale a ritenere fondate quelle accuse.
Passalacqua, è emerso dalle indagini, avrebbe avuto per anni un «atteggiamento violento, irascibile e maniacale di controllo»; spesso “al culmine di banali litigi si avventava con schiaffi al volto, pugni e calci sugli arti inferiori», oltre a usare «violenza verbale», con espressioni come «bestia, ti devo ammazzare, ti paralizzo». Comportamenti violenti che avrebbe avuto anche sulle due figlie, ripetutamente «percosse e denigrate».
Nelle motivazioni della sentenza la giudice ripercorre i racconti delle vittime e dei testimoni, parlando di un «clima di sopraffazione, fisica e psichica, instaurato da Passalacqua, usando toni sprezzanti, atteggiamenti aggressivi e denigratori ma, soprattutto, l’utilizzo della violenza contro la moglie prendendo a pretesto motivi banali, approfittando della vulnerabilità e sottomissione, tanto da inculcare nella donna il convincimento che si trattasse di comportamenti “normali” e che lei “meritasse” un tale trattamento». «Pretendeva di controllare ogni movimento della moglie, controllarne il telefono, gestirne l’uso e la presenza sui social, decidere con chi lei potesse uscire» ricostruisce la gup, riferendo anche le parole pronunciate in aula da una delle due figlie: «Mia madre piangeva e mio padre minacciava di pestarla a sangue e buttarla nell’immondizia. Da quando siamo piccole ho ricordi orribili di minacce di morte, piatti che volavano, ceffoni in faccia».