Sabato 06 Settembre 2025 | 13:50

Bari, omicidio sul lungomare a San Girolamo: il Comune parte civile

 
Isabella Maselli

Reporter:

Isabella Maselli

Bari, omicidio sul lungomare a San Girolamo: il Comune parte civile

Palazzo di Città: «Allarme e sdegno, lesa l’immagine dell’ente». Il sorvegliato 31enne Ivan Lopez ucciso a settembre 2021 mentre tornava a casa a bordo del suo monopattino

Mercoledì 28 Febbraio 2024, 11:41

BARI - L’omicidio commesso sul lungomare IX Maggio la sera del 29 settembre 2021, all’altezza del Waterfront di San Girolamo, in cui perse la vita il 31enne Ivan Lopez, ritenuto vicino al clan Strisciuglio, «anche in virtù delle modalità eclatanti e plateali del fatto, commesso innanzi all’abitazione della vittima», ha «suscitato allarme sociale, instaurando un clima di insicurezza e sfiducia nelle istituzioni da parte della cittadinanza e della collettività». Con questa motivazione il Comune di Bari chiederà di costituirsi parte civile nel processo a carico di due dei presunti sicari (gli altri non identificati), il 30enne Davide Lepore, ex vicino di casa della vittima e poi costretto a trasferirsi a Bari Vecchia perché affiliato ai clan, rivali degli Strisciuglio, Capriati e Parisi-Palermiti, e il 28enne Giovanni Didonna di Cellamare. Il primo accusato di essere l’ideatore ed esecutore materiale del delitto, il secondo di avervi partecipato rubando l’auto usata per l’agguato.

Nella delibera con la quale la Giunta comunale ha deciso di costituirsi parte civile, si evidenzia come quell’agguato abbia leso «la sfera istituzionale della civica amministrazione, ente che, per legge e per statuto, rappresenta la comunità locale e ne cura gli interessi, ponendosi come sistema al servizio dei cittadini, secondo i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, la cui violazione comporta» un danno patrimoniale e non solo. «L’attività criminosa commessa - prosegue la delibera - pare decisamente ledere i diritti all’immagine del Comune di Bari, oltre a suscitare allarme e sdegno, rappresentando la negazione dei valori solennemente riconosciuti e tutelati dallo statuto della Città di Bari».

Il processo dinanzi alla Corte d’Assise sarebbe dovuto iniziare ieri, ma per incompatibilità di uno dei giudici del collegio è stato rinviato al prossimo 8 aprile. In quella data il Comune, assistito dall’avvocato Paola Avitabile, chiederà di costituirsi parte civile.

Ai due imputati, entrambi arrestati per il delitto nel giugno scorso, è contestato l’omicidio volontario pluriaggravato dalla premeditazione e dal metodo mafioso, oltre al porto e alla detenzione illegale di arma da sparo (Lopez fu ucciso con almeno sei colpi di pistola) e del furto di due auto, una delle quali - rubata a Polignano circa venti giorni prima - utilizzata quella sera per raggiungere la vittima. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Marianna Casadibari e Fabrizio De Maio.

Stando alle indagini dei carabinieri, coordinate dalla pm della Dda Bruna Manganelli, l’omicidio sarebbe stato commesso per vendicare le estorsioni, denaro e gioielli, che Lepore, gestore di tre autorimesse in città, aveva subito dai fratelli Lopez. Quella sera il 31enne, sorvegliato speciale, stava rientrando a casa. Gli sarebbero bastati tre minuti per salvarsi perché dalle 22 non gli era consentito stare in giro e quando il killer lo raggiunse e gli sparò erano le 21.57. Il sicario arrivò a bordo di una Fiat 500 (poi risultata rubata e che dopo l’omicidio fu abbandonata a Santo Spirito). Sceso dal mezzo e avvicinatosi alla vittima che era sul monopattino, a pochi passi dal portone di casa, l’assassino avrebbe sparato un primo colpo e poi gli altri cinque. Del 31enne Lepore - hanno ricostruito gli inquirenti - avrebbe monitorato orari e spostamenti per settimane pianificando nei dettagli il delitto e scegliendo di uccidere Ivan forse perché ritenuto «un bersaglio facile». Un agguato - secondo la Dda - volutamente fatto con modalità così «plateali», in una sera di fine estate davanti casa della vittima, con «lo scopo di intimidire la popolazione» e costringerla all’omertà. Risultato in parte raggiunto (persino i famigliari della vittima sarebbero stati reticenti) se non fosse per la decisione del fratello Francesco, all’indomani dell’omicidio, di diventare un collaboratore di giustizia e raccontare tutto. «Sulla mia testa pendeva una taglia, hanno ucciso lui per fare un danno a me e al gruppo a cui appartengo» disse tra le lacrime il fratello Francesco, ora «pentito», all’indomani dell’omicidio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)