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Le «aguzzine» della porta accanto: il caso barese approda in Cassazione

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Le «aguzzine» della porta accanto: il caso barese approda in Cassazione

Quattro donne alla sbarra, interessi fino al 5mila% durante il lockdown e poi le minacce, «Se non paghi ti sbrano»

Mercoledì 21 Febbraio 2024, 12:50

BARI - Approda il 6 marzo in Cassazione il processo sulle cosiddette «cravatte rosa» baresi, quattro presunte usuraie accusate di aver minacciato per anni persone in condizioni di difficoltà economica nei quartieri popolari Japigia, San Pasquale e San Paolo, pretendendo a fronte di prestiti anche di poche decine di euro, necessari per fare la spesa, interessi fino al 5mila per cento.

In appello, un anno fa, erano state confermate (ma leggermente ridotte) nove condanne a 7 donne e due famigliari ritenuti complici nel racket. Per cinque di loro le pene sono ormai definitive. Quattro, invece, hanno impugnato la sentenza di secondo grado e tra qualche settimane si discuterà il processo davanti ai giudici di piazza Cavour.

Gli episodi di usura ricostruiti erano 29, oltre a otto di estorsione. La condanna più alta, a 5 anni di reclusione, è stata inflitta nei confronti di Maria Magistro, ritenuta responsabile di 10 episodi e condannata anche a risarcire l’unica vittima costituita parte civile. Altri 4 anni e 6 mesi di reclusione sono stati inflitti a Teresa Signorile; tre anni e 6 mesi ad Angela Salvatore; 2 anni e 10 mesi a Teresa Salvatore.

L’indagine partì nel maggio 2019 dalla denuncia di una anziana che in lacrime si era recata al comando della Gdf raccontando le richieste estorsive alle quali non riusciva a far fronte. Attraverso intercettazioni, pedinamenti e accertamenti bancari, gli investigatori hanno accertato un giro di usura cosiddetto «domestico», in cui cioè l’usuraio è il vicino di casa della vittima, per centinaia di migliaia di euro. Le vittime, quindici quelle accertate, erano impiegati, commessi ed operai, alcuni dei quali anche accaniti giocatori di bingo, lotto, slot machine e gratta e vinci e in molti casi donne anziane. Le condotte illecite si sarebbe intensificate nel periodo del lockdown, a causa dell’aggravamento delle condizioni economiche di tante famiglie baresi. «Se non paghi vengo e ti sbrano, ti mando delle persone ad ucciderti», «se non paghi ti brucio l’auto», «ti mando mio figlio con la pistola», «ti faccio saltare in aria», «prega a Dio che non si verrà a sapere niente se no per te sarà la fine». Con frasi come queste presunte usuraie avrebbero intimidito e tenuto sotto scacco le vittime. L’inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dal pm Lanfranco Marazia e denominata «Cravatte rosa», proprio perché la gran parte degli usurai era costituita da donne, portò nel novembre 2020 all’arresto di alcuni di loro. I fatti risalgono agli anni 2011-2020. I reati contestati, a vario titolo, sono usura aggravata dallo stato di bisogno ed estorsione. Spesso, infatti, gli usurai costringevano le loro vittime a pagare gli interessi anche ricorrendo a violenze e minacce.

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