BARI - Alcol, telefoni cellulari e droga ai giovani detenuti nell’istituto penale per minorenni Fornelli di Bari in cambio di soldi: è l’accusa per la quale un agente penitenziario in servizio anni fa nel carcere minorile di via Giulio Petroni è a processo davanti al Tribunale di Bari. I reati che la Procura gli contesta sono corruzione e cessione di sostanza stupefacente. Oltre al 51enne, all’epoca assistente della polizia penitenziaria, è alla sbarra un collega 52enne accusato di omessa custodia della pistola di ordinanza che, lasciata in un armadietto incustodita, sarebbe stata rubata da ignoti, sempre all’interno dell’istituto minorile.
I fatti contestati risalgono ai primi mesi del 2019 e ad oltre cinque anni di distanza il processo di primo grado è ancora alle battute iniziali. Inizialmente gli agenti per i quali la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio erano sette: due (accusati di omessa custodia delle armi) hanno chiuso il procedimento con l’oblazione e altri tre hanno scelto il rito abbreviato (tutti assolti nei mesi scorsi). Resta in piedi il processo nei confronti dei due poliziotti penitenziari che non hanno scelto riti alternativi. Il rinvio a giudizio risale a quasi un anno fa ma il dibattimento deve ancora entrare nel vivo (prossima udienza il 18 marzo).
L’OMESSA CUSTODIA DELLE ARMI Tra i 4 e il 9 gennaio 2019 all’interno del carcere minorile furono sottratte, «ad opera di ignoti» si legge negli atti, tre pistole di ordinanza appartenenti ad altrettanti agenti penitenziari. L’ipotesi dei magistrati baresi - formalizzata in una imputazione penale - è che le armi siano state rubate perché le tre guardie non le avrebbero «custodite con diligenza», depositandole «nonostante il divieto, in maniera permanente nei locali dell’Ipm, le cui chiavi non venivano adeguatamente custodite». Di questa vicenda rispondevano tutti e tre gli agenti di polizia penitenziaria e l’allora comandante (quest’ultimo per non aver vigilato sulle modalità di custodia delle pistole). In udienza preliminare, ormai più di un anno fa, due di loro hanno optato per l’oblazione, uscendo dal processo con il pagamento di una contravvenzione e ottenendo di conseguenza l’estinzione del reato. Il comandante ha chiesto il rito abbreviato ed è stato assolto. Il terzo collega, invece, ha scelto di affrontare il dibattimento ed è stato rinviato a giudizio.
ALCOL, TELEFONI E DROGA AI DETENUTI Nei confronti di altri tre agenti la pm Chiara Giordano, che ha coordinato le indagini sulle presunte irregolarità nell’Ipm Fornelli, ha formalizzato le accuse di corruzione e cessione di sostanze stupefacenti. La vicenda contestata risale al 25 febbraio 2019.
«Ricevevano - si legge nell’imputazione - denaro e altre utilità per compiere atti contrari ai propri doveri d’ufficio. In particolare introducevano nell’istituto e consegnavano ad alcuni detenuti, oggetti il cui consumo o utilizzo è vietato negli istituti penitenziari, quali bevande alcoliche e telefoni cellulari, con relative schede sim, nonché cedevano ai detenuti, in alcuni casi minorenni» hashish e marijuana. Due dei tre poliziotti sono stati assolti al termine del processo con rito abbreviato; l’altro dovrà ancora difendersi dinanzi al Tribunale.
I PRECEDENTI Di agenti penitenziari finiti nei guai c’è traccia in diversi procedimenti penali tuttora in corso a Bari. Nei mesi scorsi si è concluso il primo grado di un processo a carico di alcuni agenti penitenziari in servizio più di un decennio fa (fino al 2013) nella casa circondariale «Francesco Rucci» (il carcere degli adulti, accanto al minorile) accusati di portare marijuana e hashish ai detenuti «amici».
Per anni - ha ricostruito la Procura - si sarebbero messi «a disposizione» dei detenuti, soprattutto quelli ai vertici dei clan mafiosi della città, «al fine di ottenere un ritorno economico ovvero di guadagnarsi il rispetto dei detenuti appartenenti ai clan da cui potevano ottenere protezione». Introducevano in carcere droga, nascosta in pacchetti di sigarette, in cambio di regali e compensi in denaro (da 200 a 500 euro per ogni panetto da 100 grammi di hashish).
E poi, come hanno raccontato diversi collaboratori di giustizia, «cornetti, profumi, infradito, cd, radioline, cozze crude, inchiostri per tatuaggi, persino un orologio». In un caso un agente avrebbe procurato ad alcuni detenuti i cosiddetti fili d’angelo, utili per segare le barre di ferro delle celle, perché stavano pianificando una evasione dal carcere. Due agenti penitenziari sono stati condannati a 7 anni di reclusione per spaccio di droga mentre le accuse di corruzione, pur ritenute provate, sono state dichiarate prescritte.
IL PROCESSO PER TORTURA Tra qualche settimana si concluderà il processo di primo grado in cui undici imputati rispondono del presunto pestaggio ai danni di un detenuto psichiatrico avvenuto all’interno del carcere di Bari la notte del 27 aprile 2022. Tortura è il reato contestato ad alcuni degli agenti di polizia penitenziaria che ora rischiano condanne fino a 8 anni di reclusione.
Quella notte - hanno accertato le indagini della Procura di Bari documentate anche dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza - il detenuto aveva appiccato un incendio nella sua cella, costringendo i poliziotti ad evacuare l’intera sezione invasa dal fumo con 150 reclusi. A questo momento di grande tensione e pericolo sarebbe seguita l’aggressione, di cui adesso gli agenti rispondono dinanzi al Tribunale (alcuni di loro ancora ai domiciliari e sospesi dal servizio).