Architetto Danilo Stefanelli (Consigliere dell’Ordine degli Architetti, componente del Direttivo Do.co.mo.mo. Puglia-Basilicata, tra i fondatori di In/Arch Puglia), la Gazzetta ha avviato una discussione pubblica sui nuovi modelli di città al tempo di una nuova sensibilità ambientale. Quali sono le aspettative dei cittadini nella nuova stagione culturale?
«Le aspettative dei cittadini a mio avviso sono quelle di rivivere una nuova stagione urbanistica, lasciarsi alle spalle una crescita della Città caratterizzata da singole sostituzioni edilizie, senza una idea complessiva di Città del domani».
Il tema del consumo del suolo evidenzia un allarme in Puglia e nel Sud in generale. Perché si preferisce edificare ex novo e non rigenerare spazi o quartieri?
«Partire da una tabula rasa è meno complesso rispetto a rigenerare spazi urbani, contemplare le preesistenze. Operare sul corpo vivo di una Città rappresenta una attività complessa, che necessità di sforzi professionali, di competenze specialistiche, di nuove conoscenze, ed anche di una macchina pubblica efficiente e processi amministrativi rinnovati».
Ci sono modelli europei di rigenerazione urbana?
«Ci sono tantissimi esempi di Città che, grazie a processi di rigenerazione urbana hanno saputo invertire il loro destino socio-economico; penso su tutte alla Città di Bilbao, alla sua rinascita economica e culturale dopo la crisi dell’industria di Stato attraverso un piano strategico. Non basta copiare modelli virtuosi che hanno funzionato altrove, bisogna analizzare il proprio contesto, e rimettere la pianificazione urbana al centro dell’azione amministrativa».
Il Piano casa a Bari ha generato cortocircuiti come alcune nuove costruzioni elevate in snodi viari cittadini privi di servizi. Che strumenti hanno i comuni per limitare lo sviluppo disconnesso da servizi per le comunità?
«Gli effetti di anni di attuazione di interventi di sostituzione edilizia, la realizzazione di nuove residenze spesso a ridosso di svincoli stradali, rotatorie, ponti ecc. non mi pare abbia prodotto una qualità urbana delle nostre Città. La mera densificazione di tessuti urbani, già carenti di servizi alla residenza e spazi pubblici, è il contrario di un processo virtuoso di rigenerazione urbana di cui abbiamo evidenza in altre realtà».
Tra le ipotesi per arginare il consumo di suolo c’è anche l’opportunità dell’edilizia verticale. Quali i pregi e o difetti di questo orizzonte?
«Il punto non è l’altezza degli edifici, ma la qualità dell’architettura e dello spazio urbano contemporaneo. Se penso all’edilizia verticale penso obbligatoriamente a Barcellona, dove ho potuto iniziare la mia professione. Penso alle opere di grandi architetti come Ferrater, Nouvel,Chipperfield lungo la Diagonal, capaci di dialogare magistralmente con lo spazio pubblico contemporaneo e gli spazi verdi che, insieme al Forum, rappresentano la vera polarità urbana per tantissimi giovani che ogni anno affollano i diversi festival di musica, in luoghi un tempo periferici».
Dal surriscaldamento delle città e alla necessità di avere spazi verdi fino alla necessità di risparmiare energia: ci vorrebbe un luogo in cui far incontrare amministratori accademici e tecnici per confrontarsi periodicamente sulle novità scientifiche e sui nuovo modello urbanisti?
«Il luogo esiste già, è fatto di sinergie rinnovate tra Ordine degli Architetti, Do.co.mo.mo., Urban@it, Politecnico, Inu e associazioni; siamo tutti impegnati quotidianamente per rendere questo luogo di confronto vivo e, soprattutto, capace di dialogare con le Amministrazioni comunali deputate a governare lo sviluppo urbano futuro».