È lecito definire «bufale» le teorie dei rappresentanti di associazioni antivacciniste che si pongono in contrapposizione all’«unanime giudizio della comunità scientifica sul nesso tra vaccinazioni e morte o gravissime patologie». E nessuna privacy sul suo status personale di «danneggiato da vaccino» può essere invocata dall’esponente di una di queste associazioni, il Condav, che intervenendo in una audizione organizzata dal Consiglio regionale «eliminava ogni profilo di riservatezza».
È per questo che la Corte d’appello di Bari ha annullato («perché il fatto non costituisce reato») la condanna per diffamazione nei confronti del giornalista della «Gazzetta», Massimiliano Scagliarini, e dell’allora direttore Giuseppe De Tomaso, che nel giudizio di primo grado erano stati ritenuti colpevoli diffamazione aggravata nei confronti del Condav e del suo delegato Attilio Francesco Aiello e per questo condannati rispettivamente a 6mila e 4mila euro di multa (pena sospesa).
I giudici (presidente Rosa Calia Di Pinto, relatore Vito Fanizzi, a latere Francesco Rizzi) hanno infatti accolto l’appello degli avvocati Gaetano Castellaneta e Giovanni Piccoli di Bari, su conforme parere del pg Carmelo Rizzo. E infatti la Corte ha raddrizzato una pronuncia, quella del Tribunale di Bari, difficilmente comprensibile, dal momento che - come ha scritto Fanizzi - «non vi sono dubbi in merito al legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica da parte dello Scagliarini».
Nel contesto di un progetto di legge per introdurre l’obbligo vaccinale in materia di morbillo (poi non approvato perché intervenne una legge nazionale), su richiesta dei grillini il Consiglio audì una serie di personaggi che presentarono tesi non in linea con il pensiero scientifico. Tra questi pure il rappresentante del Condav, secondo cui «la mortalità da vaccino esiste ed è certificata»: circostanza non vera (si parlava del vaccino anti-morbillo), così come la «Gazzetta» scrisse riportando la conferma di medici e scienziati di chiara fama. Per il primo giudice ciò equivaleva a diffamare il Condav, ma la Corte ha spiegato che non funziona così perché il giornalista ha «rispettato i criteri della verità e della continenza». «Non è assolutamente superfluo sottolineare - aggiunge infatti la sentenza di Appello - che l’espressione “bufala” fu adoperata nella citata audizione proprio dalla professoressa Cattaneo (Elena Cattaneo, senatore a vita, luminare della farmacologia, ndr), che ne sottolineò anche la pericolosità». Aiello si era sentito diffamato perché la «Gazzetta» aveva usato il termine «vittima» anziché «danneggiato» da vaccino. La Corte d’appello sul punto ha ribaltato la lettura del primo giudice: «Non vi è alcun superamento del limite della continenza, esprimendo le due parole un medesimo concetto, una conseguenza “negativa” per la persona interessata».