BARI - Si è spento Pasquale Tempesta, giornalista storico della Gazzetta del Mezzogiorno e maestro di eleganza del mestiere. Nato a Bitonto ma residente da sempre a Bari, laureato in giurisprudenza, è stato iscritto all’Albo degli Avvocati e procuratori fino al 1962, quando, diventato giornalista professionista (era già pubblicista dal 1954), si iscrisse al nuovo elenco.
Oltre che Consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti dal 1977 al 2004 e autore di pubblicazioni, nella Gazzetta del Mezzogiorno è stato Redattore capo dei Servizi Esteri; vice redattore centrale dei Servizi Speciali e Caposervizio vicario della Redazione politica. Tra i numerosi riconoscimenti e le menzioni per l’attività giornalistica svolta in settant’anni, va ricordata la medaglia d’oro dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. È stato insignito dal Capo dello Stato dell’alta onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana e della Stella al merito di Maestro del Lavoro.
Lascia la moglie Maria e le figlie, Antonella e Claudia. I funerali si terranno domani alle 10 nella chiesa dell'Immacolata di via Abbrescia, a Bari.
ADDIO A PASQUALE TEMPESTA, DECANO DELLA «GAZZETTA» (di Lino Patruno)
Avrebbe compiuto 93 anni il 17 ottobre prossimo. Ma l’avvocato Pasquale Tempesta da Bitonto se ne è andato nella sua stagione preferita, quella del mare così vicino alla sua casa di Bari. Perché avvocato continuavamo tutti noi a chiamarlo, avendo così cominciato dopo la laurea in giurisprudenza, benché fosse un fior di giornalista già da quando aveva 24 anni. E non è stata solo la sua lunga vita a fargli vivere la carriera che ha vissuto alla «Gazzetta del Mezzogiorno» (con esperienza anche a «La Calabria» di Cosenza), più una serie di incarichi nazionali ed europei che solo a riepilogarli servirebbe quella dismisura poco giornalistica che non amava. E che non suggeriva a nessuno dei tanti allievi passati per le sue mani, alcuni poi molto saliti come poteva succedere avendo avuto cotanto maestro.
Perché l’«avvocato» era avvocato anche nella professione. Sempre ostinato a verificare prima di scrivere. Sempre attento al particolare che può far svoltare. Sempre con gli appunti alla mano. Sempre dubbioso quanto bastasse per non sgarrare una riga, dubbio come virtù di chi approfondisce e non mena la prima che gli capita. Insieme a un umanesimo figlio di una convinzione religiosa più laica che untuosa.
Ché se poi volevi improvvisare un siparietto con l’«avvocato», bastava virarla su Bitonto (di cui fu anche consigliere comunale). Terra di una «gens», come lui diceva, che era appunto una «gens», una stirpe genealogica premium ricca di protagonisti che hanno fatto storia e cultura. A cominciare dal suo papà che oggi definiremmo dirigente scolastico, ma che era un educatore di quelli che restano nella memoria di una comunità. E al quale dedicò un libro.
E poi, non è che riuscivi mai a far arrabbiare Pasquale. Ti avviluppava in una ironia, in uno stile, in una spugnosa e divertita nonchalance, in un sorriso e in una bonomia che stemperavano ogni difficoltà e asperità. Ed erano anch’esse lezioni sornione di vita. Inutile dire del rapporto d’amore con la famiglia, dalla moglie Maria, alle figlie Antonella e Claudia (quelle figlie, quelle figlie), infine alla nidiata di quattro nipoti.
Per 24 anni consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Componente di mille commissioni cui si deve lo sviluppo della professione. Conferenze e corsi di aggiornamento. Premi, collaborazioni (anche con la Rai), sindacalista, ha continuato a tenere fortunate rubriche sulla «Gazzetta» che aveva lasciato da redattore capo di quella politica che l’aveva visto a lungo raccontare un gigante come Moro. Più l’onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica e stella al merito di Maestro del Lavoro.
Tanta roba nella semplicità di un bitontino che ad averlo fra i suoi figli, altro che «gens». Con Pasquale siamo ai capostipiti, e con l’ultimo affettuoso saluto ti lascia uno degli orgogliosamente tuoi.