«Avrei potuto cambiare lavoro da anni, ma stare sulle ambulanze mi piace troppo e spero che la passione non mi passi mai. Come in tutte le cose serve una predisposizione: resterò fino a quando l’adrenalina continuerà a farmi sentire appagato». Dario Scattarella, 42 anni, barese, specializzazione in medicina di base, master in medicina estetica, da undici anni lavora nel 118, da tre alla postazione di Polignano a Mare. «Vuole sapere quanto guadagniamo? Con i soli turni base parliamo di 2.900 euro lordi al mese che diventano circa 2.500 netti. Siamo in convenzione, quindi rispetto ai colleghi ospedalieri non abbiamo tredicesime e malattia, ma una assicurazione che ci rimborsa le assenze dopo tre-quattro mesi: se ho un mutuo, non posso permettermi di stare a casa. Ecco perché capisco perfettamente se un collega giovane, al momento di uscire dall’Università, ritiene che non ne valga la pena».
Una giornata tipo sulle ambulanze?
«Lavoro a Polignano a Mare, dove c’è solo postazione 118 e guardia medica. Facciamo turni di 12 ore, la maggior parte delle volte 8-20 e il giorno successivo notte e poi tre giorni di riposo. Quando montiamo alle 8 o alle 20 arriviamo, facciamo la check-list e poi come si suol dire, si parte. Soprattutto in questo periodo in cui nei paesi l’affluenza è triplicata per il turismo, anche se ormai da noi l’afflusso è elevato e costante tutto l’anno».
Eppure non sarà solo un problema economico se sulle ambulanze non vuole salirci più nessuno.
«Io credo che la medicina dell’emergenza perda di appeal perché è molto rischiosa, e a livello remunerativo siamo fermi al 2005, quando io - che ho iniziato nel 2012 - nemmeno c’ero. E’ una continua battaglia anche per i diritti più basilari. Se manca appeal, è chiaro che qualcuno preferisca fare il medico di famiglia con meno rischi a livello medico-legale».
Avrà visto la nuova organizzazione varata dalla Regione. Con meno medici sulle ambulanze cosa succederà?
«Il medico sull’ambulanza è fondamentale perché noi abbiamo il potere decisionale di lasciare a casa il paziente dopo averlo visitato. Faccio parte del Dipartimento emergenza della Asl Bari. Se andiamo a vedere i dati, noi medici facciamo una enorme scrematura su circa la metà delle chiamate. L’infermiere non può che portare le persone al Pronto soccorso, facendo aumentare ulteriormente gli afflussi. Senza contare che nell’emergenza il medico è decisivo nella stabilizzazione e nel trasporto».
E dunque puntando sulle automediche non si rischia un ulteriore degrado del servizio?
«Io spero che non accada. Chi sta fuori non lo sa, ma quella che noi chiamiamo “medicorragia” è un allarme segnalato e previsto da molti anni. Noi medici siamo ben visti dai pazienti, ma non ho ancora capito qual è l’approccio da parte delle istituzioni: non capiamo bene se vogliono smedicalizzare il 118. Tanto di cappello agli infermieri, ci mancherebbe, ma ciascuno ha studiato per quanto riesce a fare».
Dottor Scattarella, qual è la situazione sulle ambulanze in questi giorni?
«È sempre molto complicato. Ieri ho fatto la notte e ho fatto due uscite per crisi d’ansia, che hanno tolto una ambulanza medicalizzata da una potenziale vera emergenza. La gente ormai è diventata furba. Chiama la centrale operativa per qualunque cosa, e ha imparato a dire all’operatore “ho dolore al petto” quando magari ha già le goccine per l’ansia accanto al letto. Per chiamate così servirebbe una tassa da 100 euro. Il 118 serve per le reali emergenze: a volte siamo impegnati inutilmente mentre c’è qualcuno che aspetta davvero di essere salvato».