«Hai sbagliato … hai speso parole… ora è un pretesto … mo’ mi devi dare 5mila euro entro domani mattina alle 10 altrimenti chiudi la carrozzeria». Con queste parole Giuseppe Sebastiano, barese di 25 anni, ed Emanuele Lacalamita, bitontino di 22, avrebbero minacciato il titolare di una carrozzeria a Palese per farsi consegnare 5mila euro che sarebbero serviti per pagare le spese legali per far scarcerare il pluripregiudicato del clan Strisciuglio Vito Antonio Catacchio. Arrestati in flagranza a febbraio scorso, entrambi hanno poi confessato, ieri è arrivata la condanna. La gup Paola Angela De Santis li ha condannati per concorso nell’estorsione mafiosa a 6 anni di reclusione (con lo sconto di un terzo della pena per il rito abbreviato). Tutti e due sono ancora in carcere da quando il 20 febbraio furono bloccati dai carabinieri subito dopo essersi fatti consegnare dalla vittima il denaro.
Le indagini successive hanno accertato che per anni quello stesso imprenditore sarebbe stato vittima delle estorsioni del gruppo criminale, con richieste di pagamenti periodici tra i mille e i 1.500 euro, un «pensiero richiestogli, come da tradizione mafiosa, in occasione del periodo natalizio e per il pagamento delle spese legali dei detenuti», e prestazioni lavorative gratuite su auto e furgoni di affiliati al clan, in quel quartiere capeggiato dal boss Saverio Faccilongo, soprannominato «Benzina», che si trova attualmente detenuto al 41 bis, cioè il regime del carcere duro.
L’ultima vicenda risale proprio a quel 20 febbraio. Prima una telefonata minatoria fatta dal carcere da un altro sodale, il 32enne Pietro Mercoledisanto, poi la visita di Sebastiano e Lacalamita per riscuotere il «pizzo». Subito dopo, per assicurarsi che la vittima non denunciasse, il 21enne Saverio Petriconi avrebbe mostrato al titolare della carrozzeria una pistola per intimidirlo. Petriconi è stato processato in abbreviato con i due per la detenzione dell’arma ed è stato condannato a 4 anni di reclusione.
Indagando sulle presunte estorsioni precedenti a quella di febbraio, risalenti agli ultimi nove anni, i carabinieri - coordinati dal pm della Dda Marco D’Agostino - hanno portato in cella nei giorni scorsi altre 12 persone (a 7 delle quali l’ordinanza è stata notificata in cella perché già detenuti per altro). Tra loro il boss reggente del clan Strisciuglio a Enziteto, il 36enne Saverio «Benzina», il fratello Vittorio Bruno e il padre Michele, Giuseppe Caizzi, 54enne detto «Aizz», Vito Antonio Catacchio, 39enne soprannominato «Carota», Francesco De Marzo, 31enne detto «Cicchetto», Pietro Mercoledisanto, 32enne detto Buy Watch, Tommaso Peschetola, 30enne, Giovanni Sgaramella, 27enne detto «U matt», Raffaele Stella, 22enne, Antonio Tortora, 18enne, Giovanni Tritto, 32enne detto «U piccinunn».
A ognuno di loro i magistrati Antimafia contestano un ruolo nelle presunte estorsioni, che spesso consistevano in pretestuosi risarcimenti per lavori di riparazione che lamentavano essere stati eseguiti male. In particolare, dopo aver richiesto ed ottenuto mano d’opera di ripristino della carrozzeria dei propri veicoli, anziché pagare, dopo qualche giorno, ritornavano lamentandosi della scarsa qualità dei lavori, pretendendo non solo di non pagare nulla, ma addirittura la consegna di denaro. Minacciando anche di raddoppiare la posta se la vittima avesse chiesto protezione ad altri clan. Una «forma di tracotanza vessatoria tipicamente mafiosa - l’ha definita la gip Valeria Isabella Valenzi nell’ordinanza d’arresto - , volta a dare testimonianza di fisica presenza del sodalizio al quale non si può sfuggire e i cui appartenenti devono essere oggetto di particolare riguardo e servile ossequio».
Dopo gli arresti eseguiti qualche giorno fa, i dodici indagati saranno sottoposti nei prossimi giorni a interrogatorio di garanzie durante i quali potranno decidere se raccontare al gip la loro versione dei fatti, negare, confessare o tacere.