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Bari: i pentiti del delitto Luisi: «Hanno ucciso un bravo ragazzo»

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Bari: i pentiti del delitto Luisi: «Hanno ucciso un bravo ragazzo»

Nei verbali dei fratelli Telegrafo le rivelazioni dei collaboratori di giustizia sugli agguati del 2015 e del 2016 nel quartiere Libertà

Domenica 12 Marzo 2023, 14:33

15:45

BARI - Non è nell’elenco delle 1.009 vittime innocenti di mafia ma anche lui, Antonio Luisi, può essere considerato una di loro. Figlio di Luigi, narcotrafficante barese, fu ucciso per errore in un agguato mafioso che aveva come bersaglio il padre. Si frappose tra i sicari e il corpo di suo padre, finendo ammazzato.

Un errore che ora gli stessi mafiosi, o almeno quelli poi diventati collaboratori di giustizia, ammettono, sostenendo di aver «sbagliato, abbiamo ucciso un bravo ragazzo». I verbali di due «pentiti» del clan Strisciuglio, i fratelli Donato e Arcangelo Telegrafo, figli del boss defunto Nicola, sono stati depositati nel processo d’appello bis in corso dinanzi alla Corte di Assise di Appello di Bari sul duplice agguato mafioso del 2015 e del 2016, quando morirono prima il figlio e poi il padre. E nel racconto di uno di loro emerge anche un nuovo e più stretto legame della mafia barese, in particolare di alcuni esponenti di vertice del clan Strisciuglio, con gli storici gruppi criminali di ‘Ndrangheta e Cosa Nostra.

IL PROCESSO LUISI In cinque sono alla sbarra e per tutti la Cassazione nei mesi scorsi ha annullato con rinvio le condanne a 20 anni di reclusione: i pluripregiudicati Vito Valentino e Alessandro Ruta, ritenuti i mandanti del primo agguato in cui morì il figlio, Christian Cucumazzo e Antonio Monno, esecutori materiali di quel delitto, e Maurizio Sardella, che avrebbe aiutato i sicari dell’agguato al padre, monitorando i movimenti della vittima. Ormai irrevocabili le condanne a 20 anni per Domenico Remini, mandante del secondo agguato, a 18 anni per Donato Sardella, figlio di Maurizio, e a 16 anni per Gaetano Remini (questi due confessarono già in primo grado di essere gli esecutori materiali dell’assassinio del padre).

I DUE AGGUATI Il 30 aprile 2015 fu ucciso davanti ad un circolo ricreativo del quartiere il figlio Antonio e ferito il padre, ritenuto il vero obiettivo dei killer. Il figlio, estraneo ai contesti criminali, fu ammazzato per errore perché si frappose tra i sicari e il padre per salvarlo. Il 31 ottobre 2016, poi, il clan portò a termine l’obiettivo, tornando a colpire Luigi Luisi, che morì in ospedale il 14 novembre dopo due settimane in coma. Stando alle indagini della Squadra mobile, coordinate dalla Dda, dopo la scarcerazione nel marzo 2015 di Valentino, il clan Strisciuglio, «con l’obiettivo di acquisire il monopolio nella gestione del traffico degli stupefacenti sul quartiere Libertà», avrebbe iniziato una «imposizione mafiosa» sul clan Mercante, «storicamente presente in quella zona, il cui referente era appunto Luigi Luisi e che per queste ragioni doveva essere necessariamente eliminato». Inoltre Luisi - si legge negli atti - si sarebbe rifiutato di continuare a rifornire di stupefacenti i rivali Strisciuglio e di pagare 200mila euro chiesti per continuare la sua attività di trafficante di droga. Il clan infatti, secondo la Dda, avrebbe preteso una «tassa di sovranità», il cosiddetto «rispetto», sulle attività economiche lecite e illecite del quartiere, come riconoscimento del «potere di controllo mafioso del territorio». Chi si fosse rifiutato «avrebbe dovuto essere punito con una condanna a morte». Il rifiuto di Luisi, appunto, sarebbe stato «additato come un reato di lesa maestà, aprendo la strada alla giustificazione di quello che doveva essere un omicidio eccellente di mafia barese».

LE RIVELAZIONI DEI «PENTITI» Quando è stato sentito dalla Dda il 14 febbraio scorso, il 31enne Arcangelo Telegrafo, ha raccontato il contesto che portò a quell’agguato. «Dopo il tracollo del clan Mercante - ha spiegato - si è scatenato un putiferio. Sono venuti tutti a parlare al San Paolo che non volevano più avere a che fare con Mercante ed è venuto anche Luisi, che era il fornitore di cocaina e eroina più pesante che c’era a Bari. Se arrivavano a Bari 100 chili di droga lui era tra quelli che mettevano la quota, con quelli di Japigia e poi si dividevano i clienti». Qualcosa però andò storto. Gli Strisciuglio volevano affrancarsi da lui e si sarebbero fatti consegnare droga senza pagargliela. Di qui la risposta di Luisi: «Se vieni giù a casa con un mitra in mano e ci provochi, è certo che poi ci deve essere una reazione». La reazione sarebbe stato l’agguato nel quale morì il figlio Antonio. «Hanno fatto un casino che hanno preso il figlio che si era buttato avanti. - ha detto Telegrafo - Il figlio era una persona perbene, era un ragazzo che non c’entrava niente in queste cose. Si era buttato avanti per proteggere il padre, non lo volevano ammazzare». Nei mesi successivi Luigi Luisi avrebbe pianificato la vendetta. «Da quando si è salvato la vita andava dicendo in giro che doveva pagare un gruppo di albanesi per avere la vendetta del figlio. Ci voleva far piangere per come hanno fatto piangere a lui del figlio».

Qualche giorno prima, il 10 febbraio, anche il fratello Donato, 36 anni, da alcuni mesi collaboratore di giustizia, ha raccontato agli inquirenti quello che sa su questa e altre vicende. «Luisi era un morto che camminava» ha detto, aprendo però anche nuovi scenari sulle alleanze tra gruppi mafiosi anche fuori regione. Alcuni esponenti di spicco del clan Strisciuglio, ha rivelato Donato Telegrafo, anche referenti dei traffici illeciti su interi quartieri, negli ultimi anni avrebbero fatto «affiliazioni con la famiglia Bellocco in Calabria e con una famiglia di siciliani».

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