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Bari, allarme pesci alieni, invasione in atto: migrate quasi 200 specie esotiche

Bari, allarme pesci alieni, invasione in atto: migrate quasi 200 specie esotiche

 
Barbara Minafra

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Barbara Minafra

Mar Ionio invaso da «pesci alieni»: è allarme nel Salento

I dati del progetto «Appesca» il settore è ancora in alto mare. L’analisi: nel Barese solo Molfetta sembra salvare la sua tradizione marinara

Giovedì 20 Ottobre 2022, 10:00

15:04

«La Puglia e la Sicilia sono le uniche regioni italiane che hanno segnalato la presenza del lionfish o pesce scorpione, che è una delle quasi 200 specie arrivate nel Mediterraneo da altri mari ed è una delle più problematiche perché - dice Ernesto Azzurro, ricercatore del Cnr-Irbim - è un invasore di grande successo». Purtroppo non è l’unico pesce alieno dei nostri mari. «Nella parte ionica della Puglia è stato avvistato il pesce coniglio, il siganus luridus».

Lunga lista La lunga lista di esemplari esotici che stanno popolando il Mediterraneo, lo hanno già reso il «mare più invaso» al mondo. Questi parvenu provocano il deterioramento degli habitat naturali, riducendo drasticamente la biodiversità locale entrando in competizione con le specie native, endemiche e più vulnerabili. Il ritmo della colonizzazione è così rapido da aver già cambiato l’identità faunistica in molte aree del nostro mare.

Il prof. Azzurro ha coordinato una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Global Change Biology sostenuta dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Cnr-Irbim) di Ancona, che ricostruisce questa storia di invasioni ittiche a partire dal 1896.

Invasione Lo studio dimostra come il fenomeno abbia avuto un’importante accelerazione a partire dagli anni ‘90 e come le invasioni più recenti siano capaci delle più rapide e spettacolari espansioni geografiche. Da oltre un secolo, la letteratura scientifica ha dato conto di questo fenomeno, identificando oltre 200 nuove specie ittiche e segnalando le loro catture e la progressiva diffusione. Sono due le porte di ingresso per la colonizzazione: «Le specie del Mar Rosso, entrate dal canale di Suez (inaugurato nel 1869), sono le più rappresentate e problematiche. Ci sono, tuttavia, altri importanti vettori come il trasporto navale e il rilascio da acquari. I ricercatori – dice lo studio - hanno considerato anche la provenienza atlantica tramite lo stretto di Gibilterra».

Il pesce scorpione (Pterois miles) che sta arrivando in Puglia proviene dal Mar Rosso, attraverso Suez. «La popolazione – spiega il ricercatore senior - si è espansa piuttosto rapidamente nelle zone orientali del Mediterraneo e si muove verso le nostre coste. A Zante, che non è lontana dalla Puglia, la specie è già molto abbondante».

Viene spontaneo sperare in predatori naturali per contenerli. «Una caratteristica delle invasioni biologiche – disillude però Azzurro - è proprio quella di non avere troppi nemici, altrimenti non diventerebbero invasive. Questo pesce in particolare, già si difende molto bene nel suo ambiente originario considerato che è una specie di “scorfano armato” provvisto di aculei appariscenti molto velenosi che lo mettono al riparo da eventuali predatori. Possiamo dire che no, non ha praticamente predatori naturali nel nostro Mediterraneo».

È commestibile ma può provocare punture molto dolorose, anche 48 ore dopo la morte dell’animale. «I pescatori – continua il ricercatore ricordando che è in corso la campagna “Attenti a quei 4!” avviata con Ispra per segnalare gli avvistamenti - conoscono benissimo i loro mari e le specie comuni. Devono però stare attenti a maneggiare le reti per non pungersi con le spine velenose. Poiché non sono tracine invece, è difficile che i bagnanti possano metterci sopra un piede ma occorre sempre fare attenzione».

Aree a rischio Ad Azzurro chiediamo quali sono tra le nostre aree marine quelle più a rischio di trasformazione climatica. «Una – ci dice - riguarda le aree che si stanno riscaldando di più in Italia come il centro-nord dell’Adriatico, che sta subendo le modificazioni più rapide. L’altra è il Sud Italia, le coste siciliane e quelle ioniche, in parte anche quelle della Puglia. Sono ambienti già favorevoli per alcune specie e diventeranno sempre più attrattive con i cambiamenti climatici. Viceversa, sono più al riparo le zone dell’Adriatico centrale e settentrionale, per salinità ancora non adatte alle nuove specie e per il grosso carico di nutrienti portati dal Po che va via via scemando. I modelli ci dicono che la Puglia del sud e quella ionica è già favorevole a specie aliene mentre la parte adriatica lo è molto meno». 

PESCA: SETTORE IN ALTO MARE

Tanti rifiuti (e mascherine) in mare, pochi servizi destinati ai pescatori perché si scommette di più sul diportismo, e porti che si insabbiano. Fino a quando il caro-gasolio lo consentirà, le marinerie baresi si barcameneranno tra tanti problemi strutturali e un pescato sempre meno abbondante in acque che, fortunatamente, Goletta Verde rileva ancora pulite e in buono stato sebbene siano in agguato le microplastiche.

Questa mattina alle 9, nel padiglione 152 della Fiera del Levante, verrà presentato il libro del progetto «Appesca - Analisi dello stato dei porti pugliesi e fabbisogno di adeguamento ed efficientamento per la pesca professionale» durante un convegno con esperti e docenti universitari, organizzato da Regione Puglia e Asset, l’agenzia strategica per lo sviluppo ecosostenibile del territorio. Metterà a fuoco criticità e punti di forza del comparto pesca nei 42 siti portuali regionali da cui emerge, ad esempio, che nel Barese solo Molfetta sembra salvare la sua tradizione marinara.
Al di là di immediati ristori per il costo insostenibile del carburante, la pesca pugliese ha urgentemente bisogno di misure specifiche di efficientamento e programmazione. Ma quale “fotografia” viene fuori dai porti di Molfetta, Giovinazzo, Santo Spirito, Porto vecchio di Bari e Molo sant’Antonio, Torre a Mare, Mola di Bari, Polignano e Monopoli?
L’impressione purtroppo è di un progressivo declino dell’attività peschereccia. «Bisogna efficientare i servizi ma soprattutto, dai sopralluoghi effettuati, risultano essere in condizioni disastrose le attrezzature e l’altro problema serio è la considerevole riduzione del pescaggio che rende inaccessibili molti porti alle imbarcazioni, senza dimenticare il problema purtroppo crescente dei rifiuti in mare». L’ing. Domenico Denora che per Asset è responsabile e coordinatore tecnico di Appesca, anticipa che un rifinanziamento del progetto consentirebbe «uno studio di caratterizzazione dei fondali per le attività di dragaggio ma anche per la valutazione delle microplastiche che si depongono sui fondali e che poi rischiano, deteriorandosi, di finire nella catena alimentare».
Il rapporto interdisciplinare, che mira a tracciare un modello di sviluppo sostenibile di un settore storico dell’economia pugliese, ha rilevato la presenza/assenza e il conseguente livello di efficienza di 17 servizi tecnici, dall’illuminazione pubblica ai dispositivi di ormeggio, dai quali passa la fruibilità dei porti. Questi sono stati poi oggetto di rilievi batimetrici-topografici: ex novo per Giovinazzo, Santo Spirito, Bari, Torre a Mare e Polignano, dove sono stati impiegati droni e laser scanner, e aggiungendo digitalizzazioni per Molfetta e Mola.
Gli 8 siti sono stati quindi catalogati nel Gis, il sistema informativo geografico che raccoglie tutti i dati emersi con sopralluoghi, rilievi tecnici e interviste agli stakeholders (che hanno soprattutto lamentato le difficoltà di manovra negli specchi acquei insabbiati, la mancanza di parabordi e ormeggi, scarsi investimenti per le attività di pesca a vantaggio del diportismo, la difficoltà di usufruire dei bunkeraggi, anch’essi più presenti nelle aree diportistiche), e di ciascuno è stata redatta una scheda-porto. In più è stata studiata la flotta stanziale con il supporto delle Capitanerie. Su 1387 unità censite nel 2020 ne sono state individuate 44 nel compartimento marittimo di Molfetta e 158 in quello di Bari per un totale di 202 unità di pesca: «Emerge che le imbarcazioni sono di piccola-media stazza e quindi l’attività peschereccia corrisponde a un ridotto quantitativo di pescato. A Molfetta, ad esempio, è stato registrato un dato medio di 800 tonnellate di prodotto annuo, risultando dopo Manfredonia e Vieste ma prima di Monopoli e Brindisi (dati Mipaaf), il terzo porto per tonnellaggio di pescaggio» spiega Denora. Se lo studio ha verificato una bassa diversificazione del comparto, con esigue attività di pescaturismo a Monopoli e Mola e l’assenza dell’ittiturismo nel Barese, molto interessante si sta rivelando lo spin-off di Appesca che ha permesso di istallare le prime 5 Ecoisole in 5 porti pilota: Vieste, Trani, Giovinazzo, Mola e Gallipoli (ma si spera di poter presto aggiungere altri 10 porti). Attraverso tessere magnetiche i pescatori possono contribuire a tenere pulito il mare conferendo la spazzatura intrappolata nelle reti in appositi cassonetti.

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