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Bari, «Contro la crisi serve un Patto per il lavoro metropolitano»

 
Rita Schena

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Rita Schena

Manifestazione Baritech

Nel territorio si contano 50mila disoccupati, ci sono 9.500 richieste di lavoro ma di figure professionali che non si trovano

Sabato 02 Aprile 2022, 13:53

BARI - «Quando a Bari si registra un numero doppio di Neet rispetto a Milano e di tre volte rispetto al Veneto, quando i nostri giovani sono costretti ad andar via per trovare un impiego, come già i loro bisnonni, significa che i sistemi, che sono la scuola, la formazione e l'accesso al mercato del lavoro, hanno fallito». Lo dice senza mezzi termini Giuseppe Boccuzzi, segretario generale Cisl Bari continuando il dibattito innescato da una riflessione pubblicata sulla Gazzetta un paio di giorni fa, sui giovani che ancora oggi sono costretti ad andar via.

Una emergenza quella giovanile che non si è ancora risolta, perché?

«Perché abbiamo a che fare con una situazione che si è incancrenita nell'assenza di risposte. I giovani non sono gli unici in difficoltà, penso alle donne, agli over 50 che perdono il lavoro. Risolvere il problema della condizione giovanile sarebbe già un gran bel passo in avanti. Noi oggi abbiamo una situazione di inattività cronica di giovani spaventosa, da record di cui non essere granché fieri. E se Bari arranca, ci sono territori interni dell'area metropolitana, da Bitetto a Poggiorsini, dove non lavora il 70-80% dei ragazzi. Questa inattività o li porta a dover andar via, o a deviare verso una economia che invece è sempre fiorente ed è quella mafiosa, o restare a carico di nonni e genitori sino a 50 anni ed oltre».

Cosa si può fare per cercare di risolvere il problema?

«Si deve puntare ad un orientamento serio a partire già dalle scuole medie. Si deve innescare un meccanismo virtuoso che eviti la dispersione scolastica e nello stesso tempo costruisca giovani pronti al mercato del lavoro. Ma perché questo accada i tre sistemi: scuola, formazione e l'incrocio domanda e offerta devono muoversi in maniera sincrona. Quello che invece non accade, perché manca il governo unitario del sistema. Questi tre mondi non dialogano tra loro e non programmano le azioni più idonee. Il risultato è una dispersione scolastica che oggi è al 15%, che condanna il giovane, quando e se troverà impiego, a dover accettare una forma di lavoro povero che è l'altra faccia della medaglia dell'inattività. Quello che serve è che la classe politica dirigente metta insieme questi sistemi e non lasciare che tutto sia demandato alla buona volontà di un singolo che può essere un dirigente scolastico o un funzionario di un centro per l'impiego».

In tutto questo c'è una responsabilità imprenditoriale?

«Il nostro tessuto imprenditoriale è nella stragrande maggioranza composto da piccole aziende di massimo dieci dipendenti. L'interfaccia di queste imprese sono giovani con titoli di studio generici che concorrono alle poche disponibilità insieme a tantissimi altri. Questo concede all'imprenditore un grande potere, che gli permette di assumere con stage, contratti di apprendistato, part time che invece sono full time. E di farlo per periodi di lungo precariato. Forme di lavoro povero che coinvolgono anche laureati e con competenze tecniche. Anche queste scelte contribuiscono a far sì che un ragazzo poi decida di andar via. D'altro canto la dimensione aziendale spesso non permette l'assunzione e relativa formazione interna. Gli esempi delle Accademy che oggi si stanno portando avanti, sono possibili in grandi imprese, ma non nelle piccole. Ecco quindi che è la mancanza di adeguata formazione professionale che penalizza tutto il sistema. A questo aggiungiamo che negli ultimi 15 anni, al di là dei proclami Bari non ha visto veramente l'arrivo di nuove imprese che potessero dare risposte».

Eppure anche le piccole e medie imprese si lamentano di non trovare personale, un controsenso tra tanti disoccupati.

«Secondo le ultime rilevazioni nell'area metropolitana ci sono 9500 lavori pronti, ma di questi almeno il 30% avrebbe bisogno di figure professionali specifiche che non ci sono e non si troveranno. In un territorio dove si contano 50mila disoccupati, sembra sì un controsenso, ma in realtà è frutto di quel Governo di sistema che non c'è. Si devono costruire percorsi di orientamento e formazione che diano forma a profili spendibili sul mercato del lavoro. E poi serve che in questo ciclo non si dimentichi il ruolo delle parti sociali e dei sindacati. E' importante che il sindacato sia presente, quando si insedia una nuova impresa, quando si fanno programmazioni economiche. Noi possiamo garantire che i contratti siano rispettati nell'ambito dei programmi di avvio. Serve un Patto per il lavoro metropolitano che sappia agevolare gli insediamenti imprenditoriali e governi orientamento e formazione». Altrimenti continueremo a condannare all'emigrazione altre generazioni.

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