TURI - Sono nicchie entro cui sono trattenuti profumi, suoni, echi di una storia lontana, quando la piccola comunità turese si era da poco affrancata dal dominio normanno. Lungo un percorso che si snoda tra stradine tortuose c’è ancora la suggestione di riascoltare e rivivere voci e passi di umili contadini. Finché non si arriva a un edificio che troneggia nel cuore del borgo antico. Non vi sono simboli del potere, le case si allontanano dal convento tanto quanto basta a far percepire un segno di riverenza.
Oggi ospita la biblioteca comunale ma un tempo è stato un convento delle suore dell’ordine di Santa Chiara, le clarisse. Siamo in piazza Gonnelli. Stefano De Carolis, sottufficiale dell’Arma dei carabinieri che opera nel nucleo di tutela del patrimonio artistico, ha svolto una meticolosa e raffinata ricerca storica su quell’edificio.
Il complesso monastico di Santa Chiara di Turi, viene costruito tra il 1623 e il 1631 per volontà dei fratelli Elia e Vittore de Vittore. «Il monastero, nella prima metà del ‘700, con il suo chiostro, l’annessa chiesa di Santa Chiara e i due belvedere, al catasto onciario, era tassato per ducati 17mila e 596. Una proprietà di circa mille ettari di terreno, coltivati con vigne, uliveti, orti e seminativi. Tra i possedimenti di Santa Chiara c’erano anche masserie, trappeti, molini, e aree boschive», spiega De Carolis.
Il convento risulta il più ricco ente di Turi dell’epoca. Le regole della clausura sono rigide e fra un canto ed una orazione, le monache si assicurano l’autonomia necessaria per la gestione di tutte le loro attività. Nel silenzio claustrale, si dedicano all’arte del cucito, tessono la lana, ricamano preziose tovaglie e lenzuola in cotone e lino. Inoltre, sono dedite all’arte della cucina e della pasticceria, mettendo a punto antiche ricette: taralli, conserve, vincotti, rosoli, dolci di mandorla, utilizzando spezie varie e conservando i segreti del convento. «Le materie prime a loro disposizione erano: olio, latte, vino, verdure, carni e frutta, e provenivano dai loro possedimenti terrieri e dalle masserie gestite da massari e contadini».
Le clarisse si dotano di regole, anche nel contesto culinario, individuando pietanze da preparare nei diversi periodi dell’anno liturgico, definendo i tempi di digiuno e di astinenza.
«Le monache claustrate, erano perlopiù donne colte, appartenenti alle famiglie maggiorenti, conoscevano il latino e l’italiano, e organizzavano con logica e severità la vita claustrale. A capo del convento, c’era la madre Badessa, figura autoritaria - spiega De Carolis -. Monache subalterne erano le converse, impegnate a spazzare e pulire gli ambienti, a “capare” le erbe campestri e le verdure, e a preparare i vari cibi. per le consorelle e per gli eventuali pellegrini e bisognosi che bussavano al convento».
La cucina del monastero era un luogo percorso da un forte spirito di comunità e, nella struttura architettonica costituisce, insieme al refettorio e alla chiesa, un elemento portante, intorno al quale si sviluppano tutti gli altri spazi e le attività conventuali. «La cantina delle clarisse, oltre ad essere collegata dall’interno, aveva un accesso anche dall’attuale piazza Francesco Curzio».
A
gli inizi del ‘900 i locali sono locati dall’amministrazione comunale, ad un cantiniere di Turi, ricavando un canone annuale di lire 190. La cucina e la panetteria del convento, in origine si affacciano su una pubblica strada, oggi scomparsa, «strada forno delle Monache». «Per il convento, la stradina era un luogo di contatto con l’esterno, e quando i contadini e i massari, portavano i prodotti della terra, le monache ripagavano, donando loro, dolci di mandorle, ceste di taralli, pagnotte di pane, mostaccioli, sasanelli, sospiri, copeta, e la famosa “faldacchea di Turi” o boccone di dama».
La «faldacchea» è dallo scorso aprile presidio Slow Food. Una antica ricetta di sicura provenienza conventuale e tramandata a Turi da generazioni.
Nel 1892, il convento sarà acquisito da parte del Comune. Nel 1894 diventa scuola elementare. Nel 1905, l’ex convento, ormai in degrado, subirà un nuovo e importante intervento edile, fatto di ulteriori e corpose demolizioni di antichi manufatti e opere murarie. Tra questi la demolizione delle antiche cucine con i suoi due focolari, le relative canne fumarie ed il suo soffitto in legno.