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Bitritto, poliziotto penitenziario suicida «I colleghi lo umiliavano». L'inchiesta della Procura

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

Bitritto, poliziotto penitenziario suicida «I colleghi lo umiliavano». L'inchiesta della Procura

Le accuse dell’avvocato La Scala. Si sarebbe tolto la vita lontano dalla casa nella quale viveva con i genitori. Aveva 56 anni.

Venerdì 19 Febbraio 2021, 10:40

16:40

Si sarebbe tolto la vita perché stanco di non essere accettato dai suoi colleghi. Un agente di polizia penitenziario in servizio all’interno di un carcere del Barese, è stato trovato morto all’interno della sua vettura a Bitritto, dove viveva con i suoi genitori Si sarebbe ucciso con la pistola d’ordinanza. Avrebbe anche lasciato un biglietto sul cruscotto, messaggio attualmente nelle mani della Procura della Repubblica. C’è dunque un’inchiesta sulla morte dell’agente? Di fatto si sta tentando di approfondire lo scenario che fa da sfondo alla vicenda.

Una testimonianza importante arriva dall’avvocato Antonio La Scala, presidente e fondatore dell’associazione «Gens Nova» della quale il poliziotto era membro. «Sono ancora sconvolto - dice l’avvocato - Era un uomo un po’ timido, ansioso per carattere, gentile. Due giorni fa ho raccolto il suo ennesimo sfogo: non ce la faceva più. Mi ripeteva che i colleghi lo prendevano in giro, non gli credevano, dicevano che non stava bene con il cervello, che era malato immaginario, lo dileggiavano perché non si era mai sposato». Qualcuno, dunque, avrebbe evidenziato le differenze tra l’agente e l’ambiente, per così dire, machista tipico di molti ambienti militari. Aggiunge La Scala: «In quasi 15 anni di umiliazioni subite, ha sempre rifiutato l’etichetta di omosessuale, ma era questo l’argomento principale con il quale alcuni suoi colleghi lo tormentavano». Il tema non è se l’agente fosse o meno omosessuale, il problema è il senso di isolamento che era costretto a vivere perché trattato in ogni caso da «diverso».

Il presidente di «Gens Nova» ricorda un episodio risalente a 5 anni fa: «Un collega lo vede ad una stazione di servizio e lo riferisce ai superiori; scatta una denuncia per una malattia fasulla e truffa ma la denuncia viene archiviata dal pm perché anche in quel caso era in malattia e poteva comunque uscire». Questo episodio sembra abbia segnato l’agente che da quel momento arriva a pensare perfino di poter essere pedinato. Soprattutto non digerisce che abbiano messo in dubbio la sua parola. «Due giorni fa era esausto – dice ancora La Scala – si sentiva nel centro del mirino, obiettivamente non stava bene, viveva in un’atmosfera ossessiva, si sentiva perseguitato». C’è chi lo additava come diverso, chi come falso malato, chi riferiva ai superiori episodi sul suo conto, spesso frutto di fantasia.

Questo, insomma, il clima nel quale l’agente avrebbe maturato la scelta di farla finita. Assistente capo coordinatore del corpo di polizia penitenziaria, 56 anni, originario di Bitritto, da molti anni era in servizio in un carcere di terra di Bari. Nella notte tra il 17 e il 18 febbraio una pattuglia dei carabinieri ha notato un’automobile ferma accanto a una stazione di servizio nella zona 167. I militari hanno notato all’interno la sagoma di un uomo che smebrava addormentato, ma quando hanno aperto lo sportello si sono accorti del sangue abbondante.

«Ogni volta che rientrava dalle riunioni in associazione era sereno, Antonio La Scala era diventato la persona a cui confidare tutto quello che ha subito in anni di servizio», racconta la madre sfinita dal dolore. Un padre anziano malato di cancro gli consentiva di usufruire della cosiddetta legge 104, assentarsi dal lavoro per accudire il genitore. Nel frattempo aveva chiesto di usufruire di un periodo di aspettativa. «In questo periodo mio figlio non stava lavorando – dice ancora la donna – Mi chiedo come abbia potuto procurarsi la pistola che viene sistematicamente lasciata in armeria, nel carcere, al termine dell’orario di lavoro».

L’avvocato La Scala, che si prepara a dare battaglia legale sulla vicenda, lancia intanto un altro tipo d’allarme: «Troppi suicidi tra militari delle forze dell’ordine, in media 60 ogni anno. Nelle scorse settimane si è tolto la vita un luogotenente dei carabinieri a Bari e un altro sottufficiale della Guardia di Finanza nell’aprile scorso, sempre a Bari». Ancora sull’agente penitenziario suicida: «Aveva bisogno di un aiuto psicologico serio ma con massima discrezione, non facendolo sentire un folle o in colpa». Un aiuto che nessuno è riuscito a dargli, nemmeno all’interno del suo ambiente di lavoro che in alcuni casi è stato perfino percepito come ostile.
Sarà la Procura barese ora a fare chiarezza sulle eventuali responsabilità.

FAMIGLIA CITERA' AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA - L'intenzione della famiglia è comunque quella di «avviare un causa civile nei confronti dell’amministrazione penitenziaria per culpa in vigilando» spiega il presidente dell’associazione, l'avvocato Antonio La Scala, che parla di questa vicenda come di «stalking, bullismo a sfondo sessuale».  

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