BARI - La Puglia in zona «arancione » scontenta alcune categorie come i commercianti, ma non è una sorpresa tra gli operatori sanitari. C’è molta apprensione non soltanto perché il virus circola come e forse più di prima, ma soprattutto perché, secondo Francesco Pazienza, presidente regionale dello Smi (Sindacato medici italiani), «il caos è totale». Forse la affermazione estrema è sintomo di scoramento in un periodo di pandemia complesso e difficile da gestire. Ma di fatto il giudizio è emblematico di come gli operatori sanitari vivono sulla propria pelle quel che accade ogni giorno nel territorio. Si potrebbe partire dai contenuti espressi lunedì scorso davanti alla III Commissione regionale (Assistenza sanitaria) durante la quale le sigle sindacali partecipanti (c’erano anche Fp Cgil medici, Simet , Snami e Ugs) hanno elencato ciò che proprio non va nella medicina territoriale, la potenziale prima linea per contrastare il Covid e non solo. È stata evidenziata la carenza delle strutture sanitarie, ed in particolare del personale (con tanti medici senza un contratto stabile e sicuro, come al 118, dove decine di professionisti, pur lavorando ormai da un decennio, sono ancora impiegati a tempo determinato). Si è discusso della medicina specialistica ambulatoriale («che oggi vive un momento di grande preoccupazione, soprattutto per la mancanza di tutele sul lavoro in ambulatori spesso vetusti e privi di strumenti diagnostici »). Ma ci si è confrontati anche sull'assistenza ai pazienti cronici («ancora inadeguata»), sulla incompiutezza dell'assistenza domiciliare ai più fragili e sulla sbandierata telemedicina, da implementare perché «insieme con i sistemi informatici deve essere al servizio dei pazienti e dei medici stessi».
SBAVATURE - Di fronte a questo quadro, ci vorrebbe un sistema che funzioni senza sbavature. Invece, in tempo di pandemia,
i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, i protagonisti dell’assistenza primaria, sono alle prese quotidianamente con ostacoli anche incomprensibili. Ritenuti da più parti i pilastri del sistema sanitario, individuati come essenziali durante l’epidemia, hanno sottoscritto accordi per attività che non riescono a garantire. Dopo una intesa del novembre scorso, sono stati chiamati (in realtà solo dall’11 gennaio) a effettuare i tamponi rapidi ai contatti stretti asintomatici di positivi dopo dieci giorni di quarantena, ma di fatto chi ha optato per la somministrazione in locali messi a disposizione della Asl è ancora al palo: non ci sono ancora le condizioni per partire (i locali non sono pronti, gli infermieri che li dovrebbero assistere non ci sono e restano in piedi anche questioni pratiche: si cercano addetti alle pulizie dopo il rifiuto della Sanitaservice, che ha addotto la penuria di organico). La medesima intesa prevede poi anche la prenotazione dei tamponi molecolari e la presa in carico dei pazienti presunti positivi (sono persone con sintomi o conviventi in famiglie dove ci sono casi acclarati, ad esempio). Una volta arrivata la diagnosi di positività, dovrebbero scattare, oltre al provvedimento di isolamento fiduciario, la sorveglianza e il tracciamento, con gli accertamenti per individuare altri possibili contagiati.
FARDELLO - Diciamo la verità, molti dottori di famiglia non hanno mai digerito il surplus di burocrazia che sono stati chiamati a gestire, ma ora si ritrovano, tanto per incominciare, davanti a una situazione grottesca. L’ordinanza regionale, che ha recepito l’intesa col Ministero della Salute, è scaduta il 31 gennaio. La conseguenza è che, anche per questo, in molti preferiscono ora evitare di prendere in carico i pazienti Covid liberandosi dal fardello delle continue proteste degli assistiti «imbufaliti per la disorganizzazione ». In pratica, ci sono medici di base che hanno ripreso a comunicare i casi alla Asl lasciando all’azienda la gestione di tutta la procedura, un ritorno al passato (la differenza è che le segnalazioni avvengono sulla piattaforma anziché via mail) che manda a monte i buoni propositi di snellire il lavoro del Dipartimento di prevenzione. Ma il motivo principale, al di là dell’ordinanza da prorogare, è la assoluta mancanza di garanzia sulla puntualità dei tamponi, fissati e poi annullati oppure posticipati, sempre ammesso che ci siano date e orari disponibili («questa incertezza - affermano i medici - rischia di incrinare il rapporto di fiducia con i pazienti. Se la prendono con noi»). Il disservizio è talmente grossolano da far ipotizzare ai diretti interessati che vi sia una strategia precisa, una sorta di incomprensibile boicottaggio, aggravato, dall’altro canto, dal tentativo di scaricare le responsabilità sui medici di base. «Un esempio del comportamento nei nostri confronti? Al paziente di un mio iscritto - riferisce Pazienza - bisognava rilasciare un certificato per il rientro al lavoro. Hanno scritto dal Dipartimento chiedendo al medico di provvedere a farlo rientrare per fine isolamento. Ma lui nemmeno sapeva fosse in quarantena, la Asl non glielo aveva comunicato. Non sapeva che sintomi avesse avuto l'assistito né se li avesse ancora. Ha risposto: riammettetelo voi che l'avete seguito finora».