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Ragazzino morto a Bari, la lettera del parroco: «Ai ragazzi servono presenza e sostegno»

 
Francesca Di Tommaso

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Francesca Di Tommaso

Ragazzino morto a Bari, la lettera del parroco: «Ai ragazzi servono presenza e sostegno»

Le parole di Don Pasquale Zecchini sull'uso del web in tempi di Covid

Sabato 30 Gennaio 2021, 14:42

Don Pasquale Zecchini, parroco di San Girolamo, sceglie il ruolo di pastore per indicare le linee guida di comportamento che dovrebbero muovere il rapporto tra genitori e figli. Lo fa dopo la tragica vicenda che ha devastato la comunità del suo quartiere: niente interviste, quindi, tantomeno speculazioni sulla morte di un bambino di nove anni, trovato impiccato dai genitori, per la quale la Procura di Bari ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio contro ignoti. Don Pasquale esordisce parlando di «problemi di connessione». E non si tratta certo della linea «disturbata e che salta» di un computer. Come spiega il sacerdote, insegnante di religione al liceo «Salvemini» di Bari e all’Istituto tecnico economico tecnologico «De Viti De Marco» di Triggiano oltre che parroco, sono ben altri e peggiori i «problemi di connessione». Sono tali le mancate o distorte connessioni tra vita reale e mondo virtuale. Sono i problemi di connessione tra genitori e figli: un rapporto, quest’ultimo, sempre più mediato dall’utilizzo dello strumento telematico, pc o telefonino che sia. Problemi che Covid e lockdown hanno amplificato. «La pandemia ha trasferito sulle spalle dei genitori ulteriori responsabilità - scrive don Pasquale -. Gli esperti ritengono che l’emergenza sanitaria può avere un forte impatto sulla salute mentale e psicologica e sull’inevitabile cambiamento delle abitudini dell’individuo, in quanto l’isolamento forzato e il malessere che ne derivano possono accrescere il carico di ansia e stress soprattutto per i più fragili come gli adolescenti». La fragilità degli adolescenti, ma anche dei più piccoli, costretti a trascorrere davanti ad un video la maggior parte della loro giornata, a confrontarsi con gli amici attraverso le videochiamate per sopperire all'impossibilità di incontrarsi di persona. «Nella mia esperienza di parroco e docente di religione – racconta don Pasquale - da mesi ormai raccolgo “confessioni”, sfoghi e amarezze di ragazzi e bambini che cercano di sopravvivere al dramma del momento, non senza disagio e sofferenza interiore e, spesso silenziosa». È il binomio tra emergenza educativa ed emergenza Coronavirus. È la regola dell’«Io resto a casa», non solo slogan e striscione affisso al balcone, che si impone per ridurre i rischi del contagio.


Ma bambini e ragazzi sono a casa da scuola da tempo «non senza problemi - continua don Pasquale -. Come possono i genitori gestire questa situazione?». Perché, «in un tempo in cui c’è  l’impellente e inderogabile esigenza di essere connessi  via social col mondo intero,  paradossalmente si finisce con l’aver “fatica ad essere connessi con i propri figli”. Se gli smartphone sono stati il ponte che ha fatto da collegamento tra congiunti rimasti distanti, in pieno lockdown, dentro le pareti domestiche quegli stessi smartphone sono stati una barriera che ha paralizzato le “vicinanze fisiche e domestiche”». È istintivo cogliere un’inquietante similitudine tra la morte del bambino a San Girolamo, sulla quale è aperta un'inchiesta contro ignoti per istigazione al suicidio, con l'episodio di qualche giorno precedente a Palermo. «Una bambina di dieci anni che, soccorsa, non ce l'ha fatta, dopo quel gioco atroce in cui ha tentato di sfidare la morte con una cintura stretta al collo. Il suo cellulare ha ripreso quella prova estrema e il video sarebbe finito sul social TikTok, dove da mesi spopola tra i giovanissimi il "Blackout challenge”». Forse si dovrebbe parlare di più in famiglia e a scuola di questi «lati oscuri» del web, ormai accessibili anche con il telefonino, strumento che finisce sempre più spesso tra le mani di bambini ancor prima che adolescenti. E parlarne prima piuttosto che dopo, quando a dar voce è l'onda emotiva di tragedie spesso annunciate.

Ora, ricorda il parroco di San Girolamo quel «Restare a casa significa aiutare e aiutarsi. Non vivere passivamente una situazione» inevitabile. «Deve voler dire  passare del tempo insieme come membri della famiglia, facendo delle cose insieme; a qualunque età». Non c'è una soluzione che vada bene per tutti, certo, ma che «va declinata a seconda dei ragazzi, della loro età, dei loro interessi, dei loro bisogni». Garantendo «presenza, sostegno e protezione, ma alla giusta distanza». I suggerimenti? In compagnia del virtuale, ma non senza vigilanza. Sui social si trovano passatempi da fare a casa, assieme ai bambini. Si può guardare insieme una serie tv, che oltre al momento di condivisione può offrire stimoli di discussione comune. Inventarsi un menù e una cena da preparare tutti assieme. Accorciare le distanze con parenti e amici attraverso le videochiamate. E qualche passeggiata, in sicurezza, oltre a giochi all’aperto affidati ad educatori di associazioni, ecclesiali e non. «Per riallacciare i ponti della convivenza umana e della socialità, in attesa che questa reclusione e “arresti domiciliari” abbiano fine».

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