Il mio primo impatto con Philippe Daverio fu sulle scale della Basilica di San Nicola nel 2002. Egli aveva tra le mani alcuni miei libri, tra i quali la Storia della Basilica di San Nicola. L’epoca normanno-sveva. Con il sorriso sulle labbra ci sedemmo sulle scale e lui entrò subito in argomento parlando dei Normanni. Io non sapevo che cosa facesse e in che contesto avesse voluto incontrarmi. Poi, dalla cassetta video che mi diede Vittoria Cappelli a Roma in altra occasione, ho capito che l’incontro di Bari rientrava nel programma Passepartout che Rai Tre aveva avviato pochi mesi prima.
Quello di Bari era il programma n. 17: Bari anno Mille. Bari e il Sud Italia all’epoca delle prime crociate (in onda il 3.03.2002, ma replicato numerose volte). Ricordo come il Daverio mi colpì dal primo momento. Eravamo disposti in modo informale, anche se lui aveva la solita cravatta a farfalla e io l’abito domenicano. Il suo sguardo non si distraeva e seguiva con grande attenzione il discorso su Bari intorno all’anno Mille e sulle origini della Basilica.
La cosa che più mi colpì fu la rapidità con cui assimilava i dati storici che gli comunicavo, e soprattutto la sua capacità comunicativa. Mi colpiva il fatto che la notizia che io gli avevo dato un istante prima egli me la ritrasmetteva con una vivacità tutta sua. Ecco perché, vedendo le strisce didascaliche su Rai News 24 o su Sky o su News 24.Com che lo definiscono «storico dell’arte», resto alquanto perplesso. Per me egli è piuttosto un «artista della storia». Infatti, ciò che io gli comunicavo come fredda documentazione archivistica, diventava nelle sue parole, arricchite dalle immagini, qualcosa di vivo e attuale.
Probabilmente il successo su Bari e i Normanni lo spinse alcuni mesi dopo a tornare e a invitarmi a Roma negli studi di Vittoria Cappelli. Quindi mi portò per Roma a contatto coi conventi domenicani e soprattutto con quello di S. Sabina, dove risiede il maestro generale dell’Ordine. Lì andammo nei giardini, e mentre curava l’inquadratura mi faceva le domande che avrebbero costituito la puntata su La Linea gotica dei Domenicani (andata poi in onda l’8 dicembre 2002, ma anch’essa replicata numerose volte). Anche in questa occasione notai la sua grande capacità di ascolto. Passavamo con grande scioltezza dai temi concernenti l’architettura domenicana a quelli più vivaci sull’inquisizione. Gli piaceva nelle mie risposte il riconoscere le tante macchie dell’Ordine nel medioevo, ma la forza con cui mettevo i rilievo i grandi meriti. Non aggiravo mai la risposta, anche quando la domanda poteva apparire provocatoria. Ma io sapevo che non lo era, perché in lui (come credo in me) la verità è più attraente dello scandalo e della provocazione. Non ricordo bene se ho fatto un altro programma con lui di argomento domenicano. Ricordo solo che andammo in una bella villa tra il Lazio e la Toscana (fra Viterbo e Grosseto, se la memoria non m’inganna), dove egli ci fece trovare una bella tavola imbandita, e con me c’era un altro padre domenicano di cui non ricordo il nome. Probabilmente era un programma diverso da Passepartout. I migliori ricordi sono però quelli legati a questi programmi, e non posso negare che mi faceva piacere sentire i confratelli che lo incontravano, che egli chiedeva di me. Come «Cicerone» della Basilica di San Nicola ho incontrato molte personalità. Di molti di loro ho perduto la memoria. Di Philippe Daverio, proprio no. Per me resta «l’artista della storia».