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«Bloccata in Spagna dall’Erasmus»: la storia di una studentessa di Gioia del Colle

 
Patrizia Nettis

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Patrizia Nettis

«Bloccata in Spagna dall’Erasmus»: la storia di una studentessa di Gioia del Colle

Un mese e mezzo in corsia tra i pazienti, poi l’obbligo di rimanere a casa a Siviglia

Mercoledì 01 Aprile 2020, 11:37

Quanto è lunga la distanza da Gioia del Colle a Siviglia in questo periodo di emergenza mondiale? Incalcolabile. Carola Laudadio, 26 anni non ancora compiuti, lo sa bene. È al sesto anno di anno di Medicina e chirurgia e fa parte della schiera di studenti italiani in Erasmus, sparsi per il mondo. Si trova in Spagna dal 31 gennaio. Era partita per una mobilità di sei mesi che finirà a luglio. E ha scelto di restare là anche in questo periodo, nonostante la Spagna si trovi in una situazione non molto diversa da quella italiana, nonostante lì sia sola, nonostante tutta la sua famiglia sia in Puglia. Sarebbe potuta rientrare a casa, come tanti suoi coetanei hanno scelto di fare, lei invece nemmeno ci ha pensato. «Sono partita per la Spagna per varie ragioni – dice alla «Gazzetta» - innanzitutto conoscere un nuovo ambiente universitario che mi desse la possibilità di fare più pratica in reparto, di entrare a contatto direttamente con i pazienti.

Ho avuto modo di toccare con mano tutto ciò. Il primo giorno in reparto, con il camice bianco assieme ai miei colleghi e ai miei prof spagnoli, che mi spiegavano cosa fare avendo tra le mani il mio primo paziente, è tra le esperienze che porterò nel mio bagaglio. Purtroppo questo idillio è durato solo un mese e mezzo». Dalla metà di marzo tutto è cambiato drasticamente: «Dopo i primi casi accertati di pazienti affetti dal covid 19, ricoverati presso l’Hospital Virgen de Rocio, dove noi frequentiamo lezioni, seminari e facciamo tirocini, dopo la prima ondata di diffusione del virus in tutta l’Andalusia e soprattutto a Madrid, con le prime disposizioni di Sánchez, sono state chiuse tutte le scuole di ogni ordine e grado. Così le lezioni sono diventate anche qui telematiche, i tirocini sono stati momentaneamente sospesi». E allora è iniziato l’isolamento forzato: «Io e i miei 3 coinquilini ci siamo chiusi in casa. Ci sono momenti di sconforto, ma il bello di stare insieme è proprio questo: aiutarci quando l’altro sembra cedere. Così organizziamo cene a quattro, studiamo insieme dandoci manforte, saliamo su in terrazza a guardare il tramonto vestendoci di tutto punto come se dovessimo uscire per andare a bere qualcosa».

L’anno scorso, insieme ad altre due due studentesse baresi, la giovane gioiese ha vinto un contest per dare il nome al Centro di Simulazione Avanzata in Medicina del Policlinico (che su loro invenzione, appunto, si chiama «Odigos»). Da grande non sa ancora che specializzazione prendere, è troppo presto dice, forse Neurologia, magari nel ricordo di sua mamma scomparsa un anno fa, dopo un’agonia lunga otto mesi per un’emorragia cerebrale. Carola la porta sempre con sé, insieme al fonendoscopio che lei le ha regalato. Sa bene, purtroppo, cosa sia un reparto di terapia intensiva, per averlo frequentato tutti i giorni. Anche per questo ha scelto di essere lontana da casa ed evitare qualsiasi inutile rischio. «Ho nostalgia del calore della mia famiglia. Però in questo momento voler bene significa rimanere distanti. Del resto ci sono i nostri cellulari a fungere da link. Il prossimo abbraccio sarà sicuramente tra i più sentiti».

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